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venerdì 2 gennaio 2015

Liguri: storia e cultura

Per i Liguri, il popolo del Cigno:
 Costellazione del Cigno.
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Gli antichi Liguri (dal greco "Λιγυες", ovvero Ligues, ma anche Ligyes o Ligi e in latino "Ligures") erano un popolo autoctono dell'Europa occidentale e atlantica, già stanziato in Europa almeno 10.000 anni fa e quindi di probabile derivazione dall'Uomo di Cro-Magnon, le cui testimonianze risalenti al Paleolitico sono state ritrovate nel sud della Francia fino alla costa Azzurra e nel ponente della Liguria. Le antiche popolazioni liguri erano insediate lungo le coste e nell'entroterra del mari Ligure e Tirreno fino al centro Italia, nella pianura Padana fino a Prealpi ed Alpi, nel sud della Francia, nei  Paesi Baschi e lungo la costa orientale della penisola iberica fino all'Andalusia, al Portogallo e alla Galizia, da cui sembra intrattenessero traffici, via mare, con la costa atlantica francese, la Bretagna armoricana e l'Irlanda, oltre al meridione della Britannia.
Euskadi, i Paesi Baschi, nel nord
ovest della Spagna.
Il professor Adolf Schulten, considerava ligure l'intera penisola iberica prima dell'invasione, nel 6.000 a.C., di una stirpe camita-berbera dall'Africa e pensava che la lingua basca fosse una reliquia dell'antico linguaggio dei Liguri. Il popolo basco è stato da lunghi decenni oggetto di numerosi studi, sia dal punto di vista etnico, linguistico e biologico, con l'intento di chiarire l'antica origine di questa popolazione, che dal punto di vita biologico, ed è stata riscontrata la presenza, in una forte percentuale della popolazione (circa il 30% - 35%), del fattore Rh negativo nel sangue, aspetto non comune nelle varie popolazioni europee.
Carta con l'attuale diffusione
dell'Aplogruppo R1b (fattore Y
nel DNA) nell'Europa occidentale.
Gli studi condotti portano ad ipotizzare che l'origine del popolo basco sia da ricondurre alle antiche popolazioni umane autoctone che abitavano l'Europa durante il paleolitico e che, a seguito dell'ultima glaciazione (di Würm), si erano insediate nell'attuale area dei Paesi Baschi, a sud dei Pirenei. Se quindi i Baschi appartenevano ad una famiglia di popolazioni proto-Liguri, si evince come la genesi Ligure sia autoctona. A sostegno di quest'ipotesi è anche la mappa degli aplogruppi del cromosoma Y in Europa. L'Aplogruppo R1b (Y-DNA), viene ritenuto essere la più antica linea genetica europea, associata ad un effetto del fondatore, verificatosi nell'Europa centro occidentale. Le popolazioni stanziatesi in Italia dal Mesolitico sono caratterizzate da alte frequenze di R1 (x R1a1), condizione che si ritrova ad oggi nelle popolazioni basche, ritenute le più somiglianti geneticamente ai primi europei.
Carta dell'espansione delle
popolazioni Liguri nell'Europa
sud-occidentale intorno al
XIII sec. a. C.
La longevità della civiltà dei Liguri è dovuta al ruolo decisivo che hanno avuto, dall'età del Bronzo in poi, nel reperimento di metalli preziosi (argento e oro), di minerali (come la cassiterite, da cui si ricava lo stagno che, legato al rame, da il bronzo), nella conoscenza delle tecnologie metallurgiche per la produzione di metalli (bronzo, argento) e la commercializzazione stessa, anche via mare, di bronzo, piombo, sale, oro, argento e dell'ambra, proveniente dalle coste baltiche, anche se non possediamo documenti scritti e informazioni sulle loro navi e sul loro stato sociale. Gli antichi Liguri infatti non usavano gli scritti per perpetuare la loro memoria, attenti com'erano a tutelare i loro monopoli. Quello che ci hanno trasmesso possiamo estrapolarlo dalla loro arte megalitica e dai loro antichi petroglifi. Del loro nome, della loro cultura, del linguaggio e dei costumi ne parlano i primi storici Greci e Latini, oltre alla mitologia che si riferisce a loro, perlopiù dei Greci antichi.
Lle popolazioni dell'Europa sud
-occidentale, fra cui i Liguri, durante
la II guerra Punica, 218 a.C..
Questa mancanza di informazioni è indubbiamente motivata da una strenua difesa dei loro traffici e commerci in un'Europa che era meta di continue ondate migratorie da est. Certamente si mischiarono alle popolazioni iberiche prima, forse ai Greci di Focea e sicuramente ai Celti poi, tanto che alcune tribù definite Celtiche erano in effetti Liguri, come i Taurini, i Friniati, ecc., così come gli Euganei, i proto-Leponti... Ma rimasero sicuramente Liguri puri fra il Rodano e l'Arno e a nord fino al Po. Anche se si allearono ad Annibale nella II guerra punica contro Roma, Annibale non si azzardò a passare dalla Liguria... Preferì valicare le Alpi, non solo per il difficile attraversamento degli ostacoli insiti nella costa del Mar Ligure; a prezzo di molte perdite, non solo umane.

950.000 anni fa - Il più antico sito europeo dell'Homo Erectus è la grotta del Vallonet, sulla Costa Azzurra, databile tra i 950-900.000 anni fa.
Mentone vista dall'alto, con
l'ubicazione della Grotta di Vallonet.
In questa grotta sono stati trovati strumenti in pietra e anche schegge lavorate in osso che costituiscono i resti più antichi di strumenti preistorici in Europa. Non sono ancora presenti strumenti bifacciali. La grotta di Vallonet, nei pressi di Mentone, che segna il confine fra Francia e Italia sulla Costa Azzurra, è al momento il più antico abitato in grotta attualmente conosciuto in Europa. Lo studio delle faune rinvenute nei sedimenti archeologici (in particolare resti di elefanti, ippopotami, bovidi, cervidi, suidi) ha permesso di attribuire al giacimento un'età compresa fra 1,3 e 0,7 milioni di anni mentre lo studio del paleomagnetismo del riempimento della grotta la colloca all'episodio "di Jaramillo", periodo in cui il Campo Magnetico Terrestre era inverso rispetto ad oggi, tra 0,95 e 0,9 milioni di anni. L'industria litica comprende strumenti su ciottolo e su scheggia.

L'uro era un grosso bovino
particolarmente aggressivo, diffuso
in tutta Europa ed estintosi nel 1627.
500.000 anni fa - I reperti che sono stati rinvenuti presso l’attuale porto di Nizza, nel sito detto di Terra Amata, testimoniano la presenza nella zona di alcuni gruppi di uomini specializzati nella caccia agli elefanti e collocabili in un periodo compreso tra 500.000 e 300.000 anni fa, durante la glaciazione di Mindel, avvenuta da circa 455.000 a 300.000 anni fa. Si tratta delle tracce più antiche di capanne costruite da cacciatori. La stratigrafia ha mostrato diversi periodi insediativi, con resti di capanne ovali a focolare centrale, ciottoli scheggiati, raschiatoi e animali catturati quali cinghiali, tartarughe, rinoceronti di Merk, elefanti meridionali, uri, uccelli vari.

I Balzi Rossi, con a destra la
grotta del Caviglione.
230.000/130.000 anni fa - Nella grotta dei Balzi Rossi, in prossimità di Ventimiglia, sono stati ritrovati resti di Homo Erectus datati a oltre 230.000 anni fa, oltre a tracce e graffiti di uomo di Neanderthal (da 130.000 anni fa) e resti di Homo Sapiens assimilabili all'Uomo di Cro-Magnon. Le Grotte dei Balzi Rossi sono situate nel comune di Grimaldi, a poche centinaia di metri dalla frontiera italo-francese di Menton, nella Riviera dei Fiori, il Ponente ligure. Le grotte si aprono ai piedi di una barriera rocciosa composta da calcare Jurassico-Dolomitico la cui altezza è di circa 100 metri.
Falesia dei Balzi Rossi.
Il nome del luogo deriva dal colore delle rocce che nel dialetto locale vengono indicate come "Baussi Russi" (pietre a sbalzo/rocce rosse). Il sito consiste di 7 grotte: Grotta del Costantini, Grotta dei Fanciulli, Grotta del Florestano, Grotta del Caviglione, Barma Grande (barma significa grotta), Barma du Bausu da Ture (che in dialetto significa Grotta della roccia della torre) e Grotta del Principe. Solo le grotte del Caviglione e Florestano possono essere visitate, ma il museo Preistorico dei Balzi Rossi a Ventimiglia offre ampie e dettagliate spiegazioni sul contenuto delle grotte e vi si trovano anche numerosi scheletri o calchi dei medesimi, oltre a foto e oggetti rinvenuti durante gli scavi archeologici.
Falesia dei Balzi Rossi, da: https://
Le grotte sono state frequentate dall'uomo fin dalla fine del Paleolitico Inferiore, 300.000 anni fa, anche se le tracce di queste antiche presenze sono molto limitate, a causa delle frequenti variazioni del livello dei mari, verificatesi nel corso delle fluttuazioni climatiche del Pleistocene, tra 2,58 milioni e 11.700 anni fa. Il reperto più antico ritrovato è un frammento di osso del bacino di una femmina di Homo erectus (di età assoluta oltre i 230.000 anni), vissuta durante l'era interglaciale Mindell-Riss, durata da 300.000 a 200.000 anni fa. Homo erectus (vissuto da 1,5 milioni a 50/100 mila anni fa), è fra i primi ad adottare una postura completamente eretta, presenta un notevole sviluppo cranico e ha organi che gli permettono di articolare un linguaggio, oltre alla capacità di sviluppare una tecnologia superiore a quella utilizzata dagli ominidi precedenti. Gli strumenti dell'erectus non sono solamente oggetti che la natura fornisce o poco modificati, ma sono lavorati, modificati e adattati alle necessità con diverse tecniche: l'erectus produce utensili che a loro volta permettono di creare oggetti, in un circolo virtuoso.

Strombo giga, da: https://pixnio.
130.000 anni fa - Durante l’interglaciazione Riss-Würm (da 130.000 a 110.000 anni fa) la zona dei Balzi Rossi è stata interessata da una fase di trasgressione del livello marino che aveva riportato la costa a lambire le caverne, sulla cui spiaggia il mare depositava anche caratteristiche conchiglie, gli strombi, grandi molluschi della classe dei Gasteropodi (Strombus gigas) e lungo la fascia costiera, dove erano accampati, in ripari e numerose capanne, gruppi di cacciatori-raccoglitori, pascolavano  elefantiippopotami e rinoceronti.
Il mare dai Balzi Rossi.
Gli uomini che frequentarono le grotte durante il Medio Paleolitico (da 300.000/120.000 a 40.000/35.000 anni fa) non lasciarono scheletri, ma si suppone che appartenessero all'Uomo di Neanderthal, (vissuto tra i 200.000 e i 30.000 anni fa) e continuarono a vivere nelle grotte durante la Glaciazione Würm, lasciandovi tracce di focolari e iscrizioni rupestri. Nell'iscrizione rupestre qui sotto è ancora possibile scorgere il profilo di un cavallo.
Graffito di equide nella grotta
del Caviglione, ai Balzi Rossi.
La glaciazione Würm in realtà e stata l'effetto prodotto dalla precedente glaciazione di Riss su zone specifiche come le Alpi e la  Sierra Nevada (complesso montuoso della Spagna meridionale, nella regione dell'Andalusia), ma per convenzione viene estesa anche a livello globale come l'equivalente di ultimo periodo glaciale nell'attuale era glaciale, avvenuto nel Pleistocene (110.000 anni fa - 11.700 anni fa). Su tutto il pianeta Terra si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata, con diversi mutamenti tra l'avanzamento e l'arretramento dei ghiacciai. La massima estensione della glaciazione avvenne approssimativamente 18.000 anni fa. Durante questa glaciazione i livelli dei mari si abbassarono di oltre 120 m. e solo alla fine della glaciazione, la temperatura e le precipitazioni raggiunsero gradualmente i valori attuali, dall'inizio del periodo chiamato Olocene, 11.000 anni fa.  Solo l'uomo del Paleolitico Superiore (fra 40.000 e 10.000 anni fa), l'Homo Sapiens Sapiens, usò le grotte come sepolcri, lasciandovi quindi le testimonianze più interessanti.
Donna di
Mentone.
Durante gli scavi, gli archeologi scoprirono infatti molte sepolture paleolitiche ed il cosiddetto "Uomo di Mentone", assimilabile all' Uomo di Cro-Magnon, che in effetti si è poi capito che fosse una donna. L'uomo di Cro-Magnon è una antica forma, ascrivibile a popolazioni umane moderne (Homo sapiens), largamente diffusa nel paleolitico superiore in Europa, Asia, Nordafrica, Nord America. È rappresentato da quattro scheletri provenienti dal riparo sottoroccia di Cro-Magnon, presso Les Eyzies-de-Tayac-Sireuil in Dordogna (in Francia) e da sette scheletri raccolti nelle Grotte dei Balzi Rossi (Liguria), definiti a suo tempo come cromagnonoidi. Le caratteristiche cromagnonoidi sono essenzialmente di tipo europoide: alta statura (media 1,80 m. per gli uomini, con punte oltre 1,90 m.) con gambe lunghe e braccia corte; faccia larga e bassa con cranio lungo dalla fronte all'occipite (dolicocefalia e cameprosopia), spesso denotata come disarmonica; orbite basse e rettangolari; naso prominente e spesso aquilino; grande capacità cranica (1.650 cm3).
Ricostruzione del
copricapo in conchiglie,
È stato proposto che l'uomo di Cro-Magnon avesse essenzialmente il sangue di Rh negativo, come i Baschi odierni. Tornando alla "donna di Mentone", la sua sepoltura conteneva un singolo scheletro, appoggiato sul lato sinistro con le mani vicino al volto e le gambe leggermente piegate. 
Ossa e terreno attorno allo scheletro mostravano un intenso colore rosso, causato dalla polvere di ocra con cui la sepoltura venne cosparsa. Il teschio era adornato con conchiglie marine e canini di cervo forati, una volta fissati tra loro in una sorta di copricapo. Il radio scomposto, una frattura ridotta, mostra che la donna era riuscita a superare un trauma osseo. La donna sepolta appartiene all'Uomo di Cro-Magnon, uno dei tipi umani vissuto durante il Paleolitico Superiore, i cui tratti distintivi erano un viso corto con orbite rettangolari, la grande robustezza dello scheletro e l'alta statura. La qualità delle sepolture rinvenute sembra mettere in luce l'importanza sociale dei quegli individui ed è sorprendente l'altezza di quegli individui: gli scheletri degli adulti misurano mediamente circa 180/190 centimetri, i più alti nella popolazione paleolitica europea
Duplice sepoltura.
Due scheletri di bambini la cui età si aggirava sui 2 e 3 anni, sono stati  scoperti nella Grotta dei Fanciulli, deposti uno a fianco dell'altro. Al livello dell'anca e del femore c'erano molte conchiglie marine forate (Nassa Neritea), che sembra facessero parte di un ornamento funerario.
Triplice Sepoltura con scheletri
di tipo Cro-Magnon dalla Barma
Grande, Grotte dei Balzi Rossi.
Museo Preistorico Balzi Rossi,
Ventimiglia. Crediti: DeAgostini
Picture Library/Scala, Firenze.
La sepoltura più interessante è senz'altro la Tripla Sepoltura. I tre individui sono stati sepolti nella stessa buca, uno al fianco dell'altro, cosparsi di ocra rossa e accompagnati da un ricco addobbo funebre. Due di loro erano individui giovani mentre il terzo era molto più vecchio. Le stesse peculiarità anatomiche riscontrate sul lato destro dell'osso frontale dei teschi, suggeriscono una relazione genetica tra i tre individui. Il più vecchio era alto circa 190 centimetri e possedeva una struttura scheletrica di ragguardevole robustezza.
Corredo funebre della
triplice sepoltura, nella
Barma Grande, da: https

Gli ornamenti funerari consistevano di grosse lame di pietra, collane, elementi decorativi composti da spine dorsali di pesci, denti canini di cervo, pendenti di avorio decorato con linee incavate e conchiglie forate (Nassa Neritea).
Tra le varie scoperte, l'ultima, la più eccitante, è stato il ritrovamento dei cosiddetti Negroidi di Grimaldi. La tomba conteneva gli scheletri di un adolescente e di una donna adulta con tratti somatici differenti da quelli degli individui contenuti nelle altre sepolture. Il capo dell'adolescente era ornato da un copricapo fatto di conchiglie marine (Nassa Neritea), mentre la donna aveva le stesse conchiglie vicino al polso e gomito sinistro, forse usate come braccialetto.
Doppia sepoltura dei
negroidi, da: https://love
La sepoltura dei due individui avvenne sicuramente in momenti successivi e gli scarsi riguardi avuti nel seppellire la donna suggeriscono un modello funerario atto a dare importanza alla figura maschile, proprio come si è rinvenuto nelle altre sepolture scoperte nell'area dei Balzi Rossi.
Tutte le sepolture possono essere datate al periodo chiamato Gravettiano o Epigravettiano, un intervallo temporale tra 29.000 e 19.000 anni fa.
Venere dei Balzi
Rossi.
Molteplici sono le Veneri ritrovate ai Balzi Rossi, piccole statue femminili prodotte durante l'era del Paleolitico Superiore, distinguibili grazie ad una particolare industria litica Gravettiana (tra 29.000 e 21.000 anni fa). Ricavate da ossi, pietre o in avorio, sono statuette la cui altezza è mediamente di circa di 10 centimetri.
Profili e forma presentano un'esagerato volume di seni, ventre e fianchi, mentre le altre parti del corpo e le gambe sono sottodimensionate, un'accentuazione degli attributi fisici femminili abbinati alla procreazione, caratteristici del culto della Dea Madre.
Alcune di queste statuette mostrano rilevanti riserve di adipe nei glutei,  simili alle donne Ottentotte, per cui gli scheletri dei Negroidi e queste raffigurazioni femminili fanno pensare che gli stanziamenti più recenti siano stati di genti africane.
Venere dei
Balzi
Rossi.

Veneri dei Balzi Rossi.


Ricostruzione della Donna
Cro-Magnon con bambino.
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Dal 30.000 p.e.v. (a.C.) - Termina la lunga convivenza tra vari tipi di ominidi. Da questo momento in poi i paleoantropologi hanno rinvenuto solo reperti di Homo sapiens, unico discendente degli ominidi sopravvissuti. L'uomo di Cro-Magnon è una antica forma, ascrivibile a popolazioni umane moderne (Homo sapiens), largamente diffusa nel paleolitico superiore in Europa, Asia, Nordafrica, Nord America. È rappresentato da quattro scheletri provenienti dal riparo sottoroccia di Cro-Magnon, presso Les Eyzies-de-Tayac-Sireuil in Dordogna (in Francia) e da sette scheletri raccolti nelle Grotte dei Balzi Rossi (Liguria), definiti a suo tempo come cromagnonoidi. I resti più antichi, scoperti dal geologo francese Louis Lartet, sono datati intorno al 30.000 a.C., di poco posteriori all'Uomo di Combe-Capelle di cui a volte è considerato una variante. Antropologicamente si osserva una certa stabilità delle caratteristiche cromagnonoidi che sono essenzialmente di tipo europoide: 
Ricostruzione dell'Uomo
Cro-Magnon.
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- alta statura (media 1,80 m per gli uomini, con punte oltre 1,90 m) con gambe lunghe e braccia corte;
- faccia larga e bassa con cranio lungo dalla fronte all'occipite (dolicocefalia e cameprosopia), spesso denotata come disarmonica;
- orbite basse e rettangolari;
- naso prominente e spesso aquilino;
- grande capacità cranica (1.650 cm3).
È stato proposto che fosse essenzialmente Rh negativo (come i Baschi odierni), ma questa ipotesi non è provata. Dalle moderne indagini genetiche sembra potersi affermare che i cromagnonoidi entrarono in Europa dall'Asia centrale verso il 30.000 a.C., portando il particolare marcatore genetico M173, derivato da M45, che pare fosse diffuso in popolazioni asiatiche del paleolitico da cui sarebbero derivate anche alcune popolazioni siberiane e amerinde (marcatore M242 e discendenti). I Cro-Magnon avevano una dieta di carne, grano, carote, cipolle, rape ed altri alimenti; nel complesso, una dieta molto bilanciata. Tra gli artefatti Cro-Magnon giunti fino a noi vi sono capanne, pitture murali, incisioni; sembra inoltre che fossero in grado di intrecciare vesti. Le capanne erano costruite in roccia, argilla, ossa, rami e pelo di animali.
I Cro-Magnon utilizzavano manganese e ossido di ferro per le loro pitture rupestri, e potrebbero aver creato, circa 15.000 anni fa, il primo calendario. I Cro-Magnon devono essere entrati in contatto con gli uomini di Neanderthal e sono spesso indicati come la causa dell'estinzione di questi ultimi; in realtà, sembra che umani moderni dal punto di vista morfologico abbiano convissuto con i Neanderthal per circa 60.000 anni nel Levante, e per più di 10.000 anni in Francia. Nella località di Oberkassel, presso Bonn in Germania, sono stati ritrovati nel 1914 due scheletri in un doppia sepoltura, datati al 10.000 a.C. - 15.000 a.C. e riferibili al Maddaleniano. Si tratta di uno scheletro maschile e di uno femminile assai diversi tra loro. Caratteristico appare specialmente il cranio maschile molto capace (1.600 cc) leggermente dolicocefalo, con faccia fortemente cameprosopa e orbite molto basse, in qualche modo accentuando la disarmonia di Cro-Magnon.
Il cranio della donna è più alto e più stretto e non è evidentemente cromagnonoide, ma ricorda invece il tipo di Brünn. La statura è di 166 cm nell'uomo e 147 cm nella donna. Fossili di uomini di Cro-Magnon sono stati ritrovati anche a Monaco, nel Bayern, in Germania.
L'Europa 20.000 anni fa, nella
massima estensione dei
ghiacci, durante l'ultima
 glaciazione, di Würm.
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Il massimo della diffusione si ha intorno al 20.000 a.C. Tra le varianti dell'Homo di Cro-Magnon si possono menzionare:
le popolazioni di Mechta-Afalou
(Berberi), in Nord-Africa
la popolazione maglemosiana
(proto-nordici della varietà dalo-falica) in Scandinavia,
le popolazioni neolitiche delle culture del Dneper-Donets e di Sredny-Stog
(forse i proto-Indoeuropei)
nella Russia meridionale,
i Guanci delle isole Canarie, ormai estinti, probabilmente discendenti dei Berberi,
i nativi americani Dakota in Nordamerica.
Poiché la depigmentazione compare (o compariva) con una certa frequenza in tutte le popolazioni menzionate eccetto, per quanto è noto, i Dakota, è stato anche suggerito che questa fosse una caratteristica piuttosto diffusa tra i Cro-Magnon. Invece non è chiaro come i Cro-Magnon abbiano contribuito alla genetica delle popolazioni odierne in Asia, ma è stato rilevato che in Asia i portatori delle culture siberiane Afanasevo e Tagar erano essenzialmente cromagnonoidi.

Ricostruzione di
banda di cacciatori-
raccoglitori paleolitici
 in Liguria, nel Finalese.
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Dal 26.000 p.e.v. (a.C.) - Nella grotta delle Arene Candide si effettuano sepolture, e tale pratica si protrarrà fino al VII secolo. La Caverna delle Arene Candide è un importante sito archeologico in grotta situato nel comune di Finale Ligure in provincia di Savona. Le Arene Candide erano una duna di sabbia quarzosa, bianca (candida) che i venti dell'ultima glaciazione, che soffiavano con potenza doppia di quella attuale, avevano addossato al versante occidentale del promontorio della Caprazzoppa. Ritratta in alcune fotografie dei primi anni venti del Novecento, la duna è stata completamente rimossa dall'industria degli abrasivi. La cava di sabbia di quarzo ha successivamente lasciato il posto ad una grande cava di calcare che ha determinato l'attuale (degradata) situazione paesaggistica.
L'ampia caverna, localmente nota un tempo come "Armassa", (“Arma” in ligure antico, lo conferma la toponomastica locale, significa grotta, riparo) che si apriva presso uno dei vertici della duna, è entrata nella letteratura archeologica come Caverna delle Arene Candide dopo gli scavi che Arturo Issel, fondatore dell'Istituto di geologia dell'Università di Genova, vi condusse fra il 1864 e il 1876 per provvedere reperti al nascente Museo Nazionale Etnografico e Preistorico (ora Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini) di Roma - EUR. La caverna è ora ubicata sul margine superiore del ciglio ovest della ex- cava Ghigliazza, circa 90 metri sul livello del mare, verso il quale presenta tre grandi aperture che la rendono, oggi come nel passato, relativamente illuminata ed asciutta. Attualmente si accede alla caverna dall'alto, con un percorso via Borgio che implica circa 30 minuti a piedi. La celebrità internazionale deriva dai fortunatissimi scavi che Luigi Bernabò Brea (primo Soprintendente Archeologo della Liguria) e Luigi Cardini (membro dell'Istituto Italiano di Paleontologia Umana) condussero negli anni 1940-42 e 1948-50 nella porzione sud orientale della caverna. Come noto quegli scavi conseguirono quella che ancora oggi è la più articolata stratigrafia del bacino del Mediterraneo (dal Paleolitico superiore gravettiano fino all'epoca bizantina, dal 26.000 a.C. al VII secolo d.C), in un contesto ambientale di giacitura estremamente favorevole alla buona conservazione dei reperti, soprattutto delle ossa e del materiale combusto. I resti delle ben 19 sepolture paleolitiche rinvenutevi, oltre a costituire uno dei più consistenti complessi funerari paleolitici del mondo, sono senz'altro quelli di gran lunga meglio conservati, con tutte le implicazioni sulla qualità delle informazioni scientifiche che gli antropologi possono attingere. Si segnala in particolare la ricchezza del corredo funebre di un adolescente che lo farà definire il giovane principe. Si tratta di quindicenne rinvenuto su uno strato di ocra rossa a sette metri dalla superficie, rivolto a sud, con un copricapo di nasse dorate, monili di conchiglie, ossa, corna di cervo lavorate e una lunga selce in mano. La ferita mortale al mento risultava ricomposta con ocra gialla prima della sepoltura. Numerosi materiali ceramici, strumenti in pietra scheggiata, osso, conchiglia e altre materie prime impiegati dalle popolazioni del Paleolitico e del Neolitico che abitarono nella Caverna delle Arene Candide sono esposti presso il Museo Archeologico del Finale (Finale Ligure Borgo - SV).

Come doveva essere la
penisola Italica nel 15.000
a.C., verso la fine della
glaciazione Würm, quando
i livelli dei mari si erano
abbassati di oltre 120 m.
Nel 15.000 p.e.v. (a.C.) - La seconda colonizzazione dell'Europa, (la prima colonizzazione degli uomini moderni, gruppi di Homo Sapiens, risale a 45.000 anni fa) concomitante al ritiro dei ghiacci con la fine della glaciazione di Würm, risalirebbe a circa 17.000 anni fa a partire da popolazioni di ritorno dalle zone di rifugio a sud.

A questa data risalgono i più antichi graffiti nelle Grotte di Lascaux.
"Cavallo Cinese": Grotte di Lascaux.
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Le Grotte di Lascaux sono un complesso di caverne che si trova nella Francia sud-occidentale. Le grotte si trovano vicino al villaggio di Montignac, nel dipartimento della Dordogna. Nelle grotte si trovano esempi di opere di arte parietale risalenti al Paleolitico superiore: molte di queste opere vengono fatte risalire ad una data compresa fra il 13.000 ed il 15.000 a.C. Il tema più comunemente rappresentato è quello di grandi animali dell'epoca (fra i quali l'uro, oggi estinto), resi con grande ricchezza di particolari. Il complesso di caverne venne scoperto il 12 settembre 1940 da quattro ragazzi francesi: Marcel Ravidat, Jacques Marsal, Georges Agnel e Simon Coencas. Dopo la fine della seconda guerra mondiale le caverne vennero aperte al turismo di massa, ma nel 1955 l'anidride carbonica prodotta da 1.200 visitatori al giorno aveva visibilmente danneggiato le pitture. Nel 1963 le caverne vennero chiuse al pubblico e i dipinti vennero restaurati al loro stato originale.
Insieme di pitture rupestri nelle
Grotte di Lascaux.  Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Dal 1998, infestazioni fungine hanno invaso ampie parti del complesso e richiesto interventi straordinari di manutenzione; dal 2008, a seguito del peggioramento della situazione (con una nuova infestazione avviatasi nel 2007) e delle difficoltà per rimuoverne le tracce, le grotte sono state completamente chiuse al pubblico. È stato attivato un comitato scientifico internazionale, finalizzato a studiare le migliori modalità di tutela e ripristino ambientale del complesso. Oggi i dipinti sono monitorati regolarmente, per cercare di evitare il loro ulteriore deterioramento.
Grotta Ruffignac: pitture rupestri di
animali fra cui i mammuth.
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Le sale più famose che compongono il complesso di grotte di Lascaux sono:
- la grande sala dei tori,
- il passaggio laterale,
- la lancia dell'uomo morto,
- la galleria dipinta,
- il diverticolo dei felini. Nel 1983 è stata aperta Lascaux II, una replica della grande sala dei tori e della galleria dipinta, situata a circa 200 metri dalle grotte originali. Ad alcuni chilometri da Montignac, nel parco di Le Thot, sono esposte altre riproduzioni dei dipinti delle grotte di Lascaux. La grotta di Lascaux viene anche chiamata la "Cappella Sistina del Paleolitico".
Scena del pozzo.
Di un interesse particolare è la cosiddetta "scena del pozzo" di Lascaux, la più antica rappresentazione della danza e del ballo in un graffito che rappresenta uno stregone nell'atto di svolgere una danza rituale. Qui, secondo Michael Rappenglück, della Facoltà di Matematica e di Scienze Informatiche dell'Università "Ludwig-Maximilians", a Monaco di Baviera, l'immagine dello sciamano che affronta lo spirito del bisonte è da porre in relazione ad alcune costellazioni che passavano in meridiano alla mezzanotte del solstizio d'estate del 16.500 a.C.

Grotte di Borgio Verezzi,
limitrofe alle grotte di Toirano.
- Nelle grotte di Toirano, in Liguria, sono visibili segni di frequentazioni riconducibili a questo periodo. Le grotte di Toirano, in provincia di Savona, sono un complesso di cavità carsiche di rilevanza turistica, particolarmente note per la varietà di forme di stalattiti e stalagmiti, per la loro estensione, per la perizia con cui le guide illustrano il percorso turistico lungo oltre un chilometro, per il ritrovamento di tracce dell'Homo Sapiens di oltre 12.000 anni fa e resti di ursus spelaeus di circa 25.000 anni di età.
Reperto di Orso delle caverne alle
grotte di Toirano.
L’orso delle caverne che viveva in Liguria durante il grande freddo dell’ultima glaciazione, era più grande dell’orso bruno attuale e trascorreva nelle grotte il letargo invernale; si è estinto 10.000 anni fa per motivi ancora poco chiari. 
Ricostruzione dell'Orso delle caverne.
È stato ritrovato nelle grotte di Toirano, che sono uno dei più importanti complessi di cavità naturali in Italia, con oltre 50 caverne naturali attrezzate.
Queste straordinarie grotte di Toirano sono di origine calcaree e si sono create da fiumi sotterranei ritiratisi nel corso degli anni, formando eccezionali effetti 
Impronte umane fossili
alle grotte di Toirano.
scenici: ampi saloni con stalattiti e stalagmiti di ogni dimensione e fiori di cristallo rarissimi. La Grotta del Colombo e la Grotta di S. Lucia, sono le cavità più note, con mille stalattiti affusolate. Nella Grotta della Strega si susseguono incontri affascinanti, dal "cimitero degli orsi", dove si sono sovrapposte nel tempo ossa d'orsi delle caverne, al "corridoio delle impronte", caratterizzato dai calchi umani di mani annerite dall'uso di torce nelle pareti, graffi, unghiate e impronte d`orso e impronte di piedi umani a terra, alla "sala dei misteri", luogo probabilmente ad uso rituale.

Carta con l'ubicazione dei siti preistorici europei dei Balzi Rossi,
Montferrand du Périgord, Lascaux, Finale Ligure e Toirano.
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Nel 10.000  p.e.v. (a.C.) - Termine ultimo in cui è finita la glaciazione di Würm, durata ufficialmente da 70.000 a 15.000 anni fa. Inizia la terza colonizzazione dell'Europa. Possiamo quindi dedurre che fu da questa data, la fine della glaciazione di Würm, che affluirono a più riprese in Europa orientale, dall'unico passaggio continentale ormai a clima temperato, e quindi adatto alla vita di gruppi di cacciatori-raccoglitori, popolazioni che abbiamo poi definito di provenienza indoeuropea.

- Secondo De Jubainville gli indoeuropei da cui derivarono i proto-Celti, che chiamavano se stessi Ariani (dalla parola sanscrita Arya, i «fedeli», i «devoti»), si divisero in due gruppi che iniziarono a spostarsi: - il primo verso Ovest per giungere e stabilirsi in Europa nei secoli successivi, mentre
               - il secondo verso Sud, per penetrare nel bacino del Gange e stanziarsi in India.
Il primo gruppo, suddiviso in numerose tribù, marciò verso l'Iran, per giungere poi in Anatolia, nella penisola balcanica e infine in Europa centrale, dove sviluppò una civiltà fiorente unendosi alle genti neolitiche.

Diffusione dell'aplogruppo R1b in
 Europa. Clicca sull'immagine
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- Intanto l'Europa occidentale è abitata da una civiltà proto-Ligure che parlava una lingua di cui il basco è una reliquia. Questa civiltà, autoctona e non indoeuropea, che si rivelerà poi a vocazione megalitica, potrebbe essere derivata dai gruppi del genere Cro-Magnon stanziati nell'Europa occidentale meridionale e discendenti da popolazioni migrate dall'Africa attraverso lo stretto di Gibilterra, visto che l'area dove si sono rinvenuti la maggioranza dei megaliti più antichi sono stati ritrovati sia a nord che a sud dello stretto, e il megalitismo si è espanso dal sud della penisola iberica fino al nord-europa britannico e scandinavo. Secondo un rilevamento dell'eredità genetica degli Europei, l'aplogruppo R1b è prevalente nell'Europa atlantica, dove rappresenta l'aplogruppo più diffuso e nel Camerun settentrionale. La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee. Nell'Irlanda occidentale raggiunge una frequenza prossima al 100%. Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione e si è concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandersi verso nord con il progressivo mitigarsi del clima a partire da 14.000 anni fa.
E' presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale. L'Aplogruppo R1b (Y-DNA), viene ritenuto essere la più antica linea genetica europea, associata ad un effetto del fondatore verificatosi nell'Europa centro occidentale. Le popolazioni stanziatesi in Italia dal Mesolitico sono caratterizzate da alte frequenze di R1 (xR1a1), condizione che si ritrova ad oggi nelle popolazioni basche, ritenute le più somiglianti geneticamente ai primi europei. Durante il Neolitico i migranti introducono le varianti E3B1 e J2, il 27% delle variazioni genetiche totali, basate sull'analisi dei polimorfismi indicano un chiaro gradiente di distribuzione della  popolazione italiana sull'asse nord-sud della penisola. Le variazioni introdotte nel Neolitico non sembrano essere dovute a flussi migratori provenienti dalla Spagna, ma si configurano come migrazioni provenienti dall'Asia o dall'Anatolia attraverso l'attuale area Balcanica: le migrazioni degli indoeuropei.

Dal 7.000 p.e.v. (a.C.) - Attraverso la navigazione, tra le popolazioni del Neolitico mediterraneo si creavano legami sociali e culturali. La ceramica ed anche i beni deperibili contenuti nel vasellame in terracotta potrebbero, dunque, essere annoverati tra gli oggetti che erano veicolati via mare già dall’inizio del VII millennio a.C. In questo periodo si sono ulteriormente sviluppati i commerci via terra. Attraverso i valichi dell'entroterra Finalese, conosciuti anche ai nostri giorni con gli attuali toponimi di Colle del Melogno, Madonna della Neve (o Giogo di Rialto), Colla di San Giacomo (collegata alla Colla di Magnone, che la metteva in comunicazione con la Val Ponci), dalle valli finalesi, uomini e merci potevano raggiungere la Val Bormida e, da qui, la Valle del Po.

Nel 6.000 p.e.v. (a.C.) - E' in corso la migrazione degli Indoeuropei  verso l'Europa, verso Iran e Afganistan e verso i fiumi Indo e Gange, in India. Nella penisola iberica, affluisce la stirpe camita-berbera dall'Africa.

Ricostruzione
dell'estensione del
Lago Ligustico.
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- E' dal Neolitico che abbiamo le testimonianze di una popolazione che verrà poi chiamata Ligure, nome derivato dalla parola indo-europea liga che significa «luogo paludoso» o «acquitrino», un termine che troviamo ancora oggi nel francese «lie» nel provenzale «lia», forse per l'ubicazione palustre del Lago Ligustico, situato presso la foce del fiume Guadalquivir (l'antico Betis o Tartesso), nel territorio dove oggi sorge Siviglia, in Spagna. Non sappiamo come i Liguri chiamassero se stessi: presumibilmente ogni tribù aveva il proprio nome, derivato da un capostipite, come nel caso dei Siculi o degli Ambrones, o da una zona geografica, come Ingauni e Intemeli, o ancora dalla loro divinità, come i Jenuensis da Jano (Giano).

Dal 5.400 p.e.v. (a.C.) - La cultura della ceramica impressa si diffuse in Europa nella prima metà del VI millennio a.C., e una variante è la ceramica impressa detta "ligure", diffusa nell'Italia nord-occidentale e sulle coste francesi, con occupazione di aree differenti da quelle con tracce di frequentazione mesolitica. Nella seconda metà del VI millennio a.C., all'incirca a partire dal 5400 a.C., si diffuse sulle coste mediterranee della penisola iberica e fino all'odierno Portogallo, la cultura della ceramica impressa cardiale, nella quale la decorazione a impressione era ottenuta mediante l'impressione del margine della conchiglia di Cardium. In generale rimasero numerosi gli insediamenti in grotta e le testimonianze di uno stile di vita forse seminomade, che induce ad ipotizzare una diffusione attraverso piccole comunità neolitiche di agricoltori provenienti dal mare che andarono ad occupare le aree lasciate libere dalle comunità mesolitiche locali di cacciatori e raccoglitori, le quali vennero progressivamente, ma lentamente assimilate.
La conchiglia Cardium.
Dalle coste si ebbe inoltre una lenta penetrazione verso l'interno (valle del Rodano, valle dell'Ebro). In Liguria la Ceramica Impressa Ligure è stata ritrovata quasi esclusivamente in depositi in grotta che presentano frequentazioni dell'Epigravettiano ma non del Mesolitico. Alcuni autori (P. Biagi - R. Nisbet, Popolazione e territorio in Liguria tra il XII e il IV millennio b.c., in AA.VV., Scritti in ricordo di Graziella Massari Gaballo e di Umberto Tocchetti Pollini, Milano 1986, pp. 19-27) sostengono un'origine autonoma di tale cultura a seguito di una crisi economica e tecnologica di gruppi mesolitici. La Ceramica Impressa ligure è stata individuata in numerose grotte e in siti transappenninici all'aperto e posti nei pressi dei corsi d'acqua. Lo scavo nella grotta delle Arene Candide ha permesso di raccogliere una ricca documentazione.
Orcio in Ceramica Impressa cardiale
rinvenuta a Valencia, Spagna.
Sono attestati dei collegamenti ad ampio raggio fra questa facies e altri ambienti culturali, in particolare padani, dalla circolazione di pietre verdi e giadeiti liguri per la realizzazione di manufatti levigati. La ceramica si distingue in due classi: una d'impasto grossolano di colore grigio o rossiccio decorata ad impressioni e cordoni ed un'altra con impasto depurato e con superfici ben levigate. Le forme tipiche della prima classe sono le tazze semisferiche e semiovoidali, ciotole a calotta, ollette globulari ad apertura ristretta, vasi a fiasco, orci ovoidali o troncoconici e vasetti con prese a linguetta forata e cordoni orizzontali. La decorazione impressa è eseguita con unghiate, con punzoni di vario tipo o con la conchiglia del Cardium (da cui ceramica cardiale). La fascia al di sopra delle prese può essere decorata con motivi angolari o a denti di lupo, mentre nella zona ventrale sono presenti fasce orizzontali interrotte da fasci verticali in corrispondenza delle anse. Le forme tipiche della seconda classe sono vasi a fiasco, tazze, bicchieri e piccoli vasetti.
Ceramiche antiche del nord Italia: ceramiche dei
protoCelti delle culture di Canegrate e Golasecca,
ceramiche dei Liguri risalenti all'XI secolo a.C.,
ceramiche delle civiltà di Villanova e d'Este.
Per "La Cultura di Golasecca" clicca QUI
Diffuse sono le accette e le asce in pietra verde levigata. Tra gli oggetti di ornamento prevalgono le conchiglie forate; sono presenti anche metacarpali di lepre forati ad un'estremità e un canino di cervo. Dallo studio dei resti faunistici si deduce che in associazione agli animali selvatici (cervo, capriolo, orso) erano presenti, anche se in misura minore, gli animali domestici (ovicaprini, suini, bovini). Nell'economia infatti giocava ancora un ruolo importante la caccia, la pesca (attestata da vertebre, mandibole di pesce e due ami) e la raccolta dei molluschi (Trochus, Patella). Nello strato IIb della grotta della Pollera la ceramica recuperata è decorata quasi esclusivamente con una tecnica a graffito molto accurata, con incrostazioni di pasta gialla e rossa. I motivi decorativi sono costituiti da denti di lupo, triangoli e bande campiti prevalentemente a graticcio. Lo stile, denominato "stile della Pollera" è documentato anche nello strato 13 delle Arene Candide in cui sono presenti anche fasci di linee spezzate a zig-zag e il motivo a "bandierine". Tale orizzonte, in base alle datazioni radiocarboniche, si può datare alla seconda metà del V millennio a.C. Le datazioni radiocarboniche più antiche che provengono dalle Arene Candide e dalla Pollera si inquadrano tra la fine del VI e la prima metà del V millennio a.C. Durante il Neolitico Antico c’era, presumibilmente, una circolazione via mare, a lunga distanza, di persone e merci (incluse le ceramiche). Il reperimento di un cilindro di terracotta,  con una serie (5×12) di incisioni lineari, sulla sua superficie, ortogonali fra loro, formanti 60 caselle quadrate, rappresenta un oggetto unico nel panorama del neolitico italico. Si tratta, probabilmente, di un “Token”: termine inglese che si può tradurre come “segno stampato”, “contrassegno stampato”, ma che in termini archeologici indica un sistema di registrazione numerica. Il manufatto presenta, in 8 delle 60 caselle, un punto, impresso prima della cottura e, verosimilmente, sarebbe un antichissimo sistema di numerazione. Reperti simili si trovano in aree archeologiche, di epoche contemporanee al sito in esame, situate, soprattutto, in Medio Oriente: l’oggetto sarebbe unico fra i reperti del Neolitico italiano e potrebbe dimostrare la vastità delle influenze culturali e commerciali con popoli ed aree distanti del Mediterraneo Orientale, a loro volta legate a popolazioni più lontane di quanto fino ad ora considerato.

Dalla fine del quinto millennio, alla fine del terzo millennio a.C. (periodo che comprende il Neolitico e l'Età del Bronzo), si manifestarono in Europa delle civiltà legate al culto della pietra.
Altare sopra Arma Strapatente,
 nel Finalese, in provincia di Savona.
Di Alfredo Pirondini da http://www.academia.edu/1527893/REPERTI
_ARCHEOLOGICI_DEL_FINALESE_E_NASCITA_DELLA
_RELIGIOSIT%C3%80_NELLA_PREISTORIA_UMANA: Vennero erette costruzioni megalitiche come Menhir semplici ed allineati, Dolmen, Cromlech (recinti megalitici), spesso vicino a rocce incise, considerate contemporanee ai megaliti limitrofi. Il significato di tale prossimità potrebbe essere spiegato come un segno della presenza del “sacro”. Le raffigurazioni di “oranti” avvalorerebbero, inoltre, questa ipotesi. Coppelle e canalette potrebbero, invece, essere state utilizzate come contenitori e collettori di liquidi (organici e/o meteorici) a scopi rituali . I “cruciformi” incisi su queste pietre sarebbero, invece segni di Cristianizzazione e, quindi, potrebbero essere considerati di epoca meno remota. Ciò indicherebbe una frequentazione di questi siti in periodo romano, medievale e, forse anche più recente, con finalità anche differenti da quelle originali (caccia, allevamento di animali).
Menhir a Bric di Pianarella
 (nel Finalese, provincia di Savona)
Nella zona di Finale Ligure sono presenti strutture orientate astronomicamente: “Osservatorio” di Bric Pianarella (con annessa “casella”), Menhir e Dolmen di Verezzi, Dolmen di Monticello, Rocce Altare e Tavole in Pietra di Finale presenti sui maggiori rilievi della zona (Altari di Monte Cucco, di Bric Pianarella, della Rocca degli Uccelli, del Bric del Frate, dell'Arma Strapatente, del Bric di Sant'Antonino). Tutte queste strutture megalitiche sono in stretta vicinanza con rocce incise ampiamente conosciute  come il Ciappu de Cunche (o Ciappo delle Conche: il termine "ciappo", nel Finalese, indica una lastra di pietra), il Ciappu de Cunchette (Ciappo dei Ceci), il Ciappu du Sà (Ciappo del Sale), il Ciappo Pianarella, il Ciappo della Valle dei Frassini (per citare solo quelli più noti) con presenza di incisioni di oranti, croci, coppelle e canalette. La datazione dei reperti descritti costituisce un problema di difficile soluzione, in quanto i petroglifi si trovano in un luogo “aperto”, facilmente modificabile da fattori meteorici ed umani.
Dolmen dei tre pè di Castellermo
 (a nord di Albenga)
La presenza di altre strutture simili in area Europea è, comunque, ben conosciuta. Ricordiamo, infatti, quanto riportato in numerosi studi che fanno riferimento al santuario di Panoias, (Portogallo settentrionale). Qui, accanto ad una grande roccia con vasche, canali e coppelle, scalini scavati nella roccia, vi è la seguente iscrizione latina risalente al III sec. d.C.: "HUIUS HOSTIAE QUAE CADUNT HIC IMM(ol)ANTUR EXTRA INTRA QUADRATA CONTRA CREMANTUR - SAN(gu)IS LAC(i)CULIS (iuxta) SUPERFU(ndi)TUR", traducibile con: “Qui sono consacrate agli dei le vittime che vi vengono abbattute: le loro interiora vengono bruciate nelle vasche quadrate e il loro sangue si diffonde nelle piccole vasche circostanti”. I grandi affioramenti rocciosi, con caratteristiche simili a quelle descritte per il santuario di Panoias, presenti nel Finalese, potrebbero, almeno per un certo periodo, avere avuto una funzione analoga.
Dolmen di Monticello (nel
 comune di Finale Ligure,
 provincia di  Savona)
Il fatto, inoltre, che le “pietre-altare” siano costruite su luoghi elevati indica, probabilmente, la volontà di scegliere un sito appropriato dal quale si potesse avere una sorta di controllo visivo del territorio sottostante, in rapporto anche alla sacralità delle postazioni di altura e delle cime montane, tipica delle popolazioni celto-liguri. Dolmen e Menhir non sono, quindi, estranei all'area culturale del Finalese e subalpina come si pensava fino a poche decine di anni addietro. Si riteneva, infatti, che la cultura megalitica si fosse arrestata nella regione transalpina, senza  oltrepassare le Alpi. 
Dolmen di Roccavignale
(in provincia di Savona)
Unica eccezione era l'area pugliese, i cui dolmen, pietre-fitte e specchie erano però attribuiti all'influsso di popolazioni provenienti dalla penisola balcanica, attraverso l'Adriatico, in quanto, nel restante bacino del Mediterraneo, il megalitismo è ben rappresentato. Il lavoro di Puglisi "La Civiltà Appenninica. Origine delle comunità pastorali in Italia " alla fine degli anni '50 del secolo scorso e la scoperta, negli anni '60, della necropoli megalitica di Saint Martin de Corléan, ad Aosta, dimostrarono l'infondatezza di questa tesi. Del tutto recentemente sono stati descritti reperti di possibile interesse megalitico anche in Val Ceresio, come menhir, dolmen, strade megalitiche, incisioni rupestri.
La zona interessata dalle ricerche è poco conosciuta dal punto di vista archeologico, pur facendo parte dell'area golasecchiana. Con le dovute cautele, la datazione di tali reperti può essere fatta risalire al Neolitico ed all'Età del Bronzo, ad opera di popoli pre e/o protoceltici.
Dolmen di San Giovanni, presso
Massafra  (in provincia di Taranto)
Recenti studi, basati sulle nuove metodiche di ICP/OES o AAS (acronimi per Induced Coupled Plasma/Optical Emission Spectroscopy o Atomic Absorption Spectroscopy) hanno dimostrato che la metallurgia era ampiamente conosciuta, nell'area oggetto del presente studio, già nella Media Età del Bronzo (1.600 - 1.350 a.C.) e che l'attività estrattiva era praticata anche in località minerarie della Valle stessa. La Val Ceresio sarebbe stata, quindi, fin dall'Età del Bronzo, parte di vie di scambio dei metalli fra il Mediterraneo, la Val Padana e l'Europa Transalpina. Nella seconda metà degli anni '80 del secolo scorso, sono stati identificati a Nord di Sanremo (nella provincia di Imperia) due tumuli sepolcrali circolari. Uno di questi, studiato con metodi stratigrafici dalla locale sezione dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri, ha potuto essere attribuito alla fase finale dell'Età del Bronzo. [Alessi C. (2009) Sanremo (IM). Siti Archeologici a Monte Bignone. Archeomedia - Rivista di Archeologia On-line (settembre 2009)].
Menhir nei pressi di
Carmo  dei Brocchi.
Andagna, in provincia
 di Imperia
Percorrendo, per circa 15 Km, la strada provinciale che da Molini di Triora (provincia di Imperia) conduce a Rezzo, si raggiunge Passo Teglia (1.387 m. s.l.m). Dalla sommità del valico si prende il sentiero che conduce, percorrendo trasversalmente la faggeta del Bosco di Rezzo, al Passo della Mezzaluna. Fra Passo Teglia ed il Passo della Mezzaluna , lungo la "Via Marenca" (o Marenga, del mare) di origine e frequentazione millenaria, troviamo il "Sotto" di San Lorenzo. Qui possiamo ammirare un masso altare, probabilmente utilizzato per sacrifici animali, con una coppella e relativo canaletto di scolo. Il masso è situato ai margini di una depressione del terreno (ora una dolina, probabilmente sede di un laghetto), nel punto illuminato per ultimo dal sole prima del tramonto. Nei pressi un antico insediamento pastorale sottoroccia, ricavato in uno sfasciume di massi adattati a ripari. Nel punto più alto della valletta (Passo delle Porte, nei pressi della cima di Carmo dei Brocchi), dal quale è possibile vedere il mare, una pietra conficcata nel terreno, contrassegna un luogo di raduno di particolare significato. Il menhir è alto circa due metri, largo 60 cm e spesso 10, e si presenta oggi inclinato su un fianco. Anche se non è possibile attribuirgli un'età, si tratta evidentemente di una testimonianza del mondo pastorale, che rispecchia quindi schemi di vita e di pensiero protrattisi immutati nei secoli. E' curiosa l'analogia (luna e stelle) dei nomi delle località: Mezzaluna e San Lorenzo, la cui notte (10 agosto) è la notte delle stelle cadenti.  
Il Dolmen di Verezzi,
 in provincia di Savona
Anche altri manufatti presenti in Liguria, come il Menhir ed il Dolmen di Verezzi, fino ad allora attribuiti, pur con riserve, alla civiltà contadina recente, hanno assunto un significato diverso e la scarsità di reperti megalitici in Italia, differentemente dalle regioni transalpine (specie nord-occidentali ed insulari), potrebbe spiegarsi con il maggiore avvicendamento di civiltà nel corso del tempo, fatto che avrebbe trasformato radicalmente l'aspetto del territorio, comportando la perdita di molti di questi artefatti. La presenza di Megaliti, può essere dunque considerata come un marcatore dei legami esistenti, già dal Neolitico, fra MediterraneoItalia Nord Occidentale ed Europa Transalpina. In questa prospettiva, la Liguria, grazie alle peculiarità geologiche, paleontologiche e paletnologiche descritte, può rappresentare un crocevia per tali scambi commerciali e culturali, già ampiamente documentati per le successive epoche preistoriche e protostoriche.
La diffusione delle Culture della Ceramica Impressa e dei Vasi a Bocca Quadrata nell'Italia Settentrionale e nella restante Europa continentale, dimostra attivi scambi commerciali e culturali con il Nord, il ritrovamento del “Token” di Pian del Ciliegio, prova rapporti culturali e commerciali, fin dal Neolitico Antico, con regioni Mediorientali, quali la Fenicia e la Mesopotamia.

Resti di castelliere sul
Monte Bignone (Sanremo).
Dal 4.000 p.e.v. (a.C.) - Nel territorio dell'odierna Liguria, il nuovo uso delle risorse porta ad un miglioramento delle condizioni di vita, ad un aumento della popolazione e ad una società più complessa, in cui prendono a manifestarsi delle specializzazioni nei vari settori produttivi, che consentono attività quali il riconoscimento e lo sfruttamento dei giacimenti di minerali.

A partire dal IV millennio a. C. si accrebbero le conoscenze riguardanti il trattamento dei minerali metalliferi. In seguito allo sviluppo della metallurgia, le società si organizzarono in assetti sempre più complessi, con vere e proprie strutture gerarchiche. Furono costruite fortificazioni di altura, note con il nome di Castellieri o Castellari.

Resti di fortificazione sul
Monte Vallasa (AL)
Resti di castelliere a Bric Camulà
(Arenzano)
Muro di cinta di castelliere
a Verezzi (SV)











Valle Lagorara
(Maissana-SP)
Il fronte di estrazione;
le caratteristiche fratture
concoidi prodotte dai colpi
inferti con percussioni
come in primo piano
Valle Lagorara
(Maissana-SP)
L'affioramento
di diaspro
Dal 3.600 p.e.v. (a.C.) - Nella Liguria orientale (a Monte Loreto, nell’entroterra di Sestri Levante) sono state ritrovate le tracce delle più antiche miniere di rame finora note in Europa occidentale (3.600-2.400 a.C.). Sempre all’età del Rame (2.600-2.300 a.C.) appartengono le cave di  diaspro rosso di valle Lagorara, presso Maissana, dalle quali si ottenevano schegge che, opportunamente lavorate, diventavano taglienti punte di freccia.

Dal 3.000 p.e.v. (a.C.) - La Valle delle Meraviglie (in francese Vallée des Merveilles) fa parte del massiccio del Mercantour; vi sono state scoperte più di 35.000 incisioni rupestri preistoriche, tra le quali numerose figure di armi (pugnali e alabarde) risalenti soprattutto all'età del Rame (III millennio a.C.) e in misura minore all'antica età del Bronzo (2.200-1.800 a.C.).
Incisioni rupestri fra le migliaia
della Valle delle Meraviglie,
 parco del Mercantour del
 monte Bego, ora Francia.
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 Sono presenti anche figure più antiche, in particolare reticolati e composizioni topografiche (nell'area di Fontanalba), databili al Neolitico (V e IV millennio a.C.). La Valle delle Meraviglie si trova nel comune di Tenda.
Mappa del parco del Mercantour,
 con la Valle delle Meraviglie.
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Fino al 1861 faceva parte della Contea di Nizza sabauda, poi dal 1861 al 1947 ha fatto parte dell'Italia ed era compresa nella provincia di Cuneo, col Trattato di Parigi del 1947 passò alla Francia. A partire dal 1967 è stata avviata un'indagine sistematica della zona da parte di un gruppo di universitari, museisti e scienziati finanziato dal Ministero della Cultura francese e dal Consiglio Regionale delle Alpi Marittime. Ad oggi sono state registrate oltre 35mila incisioni preistoriche (50mila comprendendo quelle storiche), la maggior parte delle quali si trova intorno al Monte Bego, da molti considerata una montagna sacra per gli antichi Liguri al pari del Monte Beigua, fra le province di Savona e Genova (non a caso altra zona ricca di incisioni rupestri). La ripartizione dei graffiti è di circa metà nella Valle delle Meraviglie, situata a ovest del Bego e metà a nord, nella Valle di Fontanalba. Vi sono anche altre zone più a nord con presenza di incisioni, ma di minore importanza. Si possono quindi identificare i seguenti settori in ordine decrescente di importanza:
Alcuni petroglifi della Valle delle Meraviglie.
- Valle delle Meraviglie
- Valle di Fontanalba (in francese
   Fontanalbe)
- settore di Valauretta (in francese
  Vallaurette)
- settore del Colle del Sabbione (in
   francese Col du Sabion) (tra
   Francia e Italia)
- settore del Lago di Santa Maria
- settore di Valmasca (Valmasque)
- settore del Lago Vej del Bouc, in Italia.
Il tutto è compreso in un'area di 40 km².

I 7 fiumi importanti per la storia dei Liguri.
- Si suppone che la longevità della stirpe dei Liguri sia dovuta al ruolo decisivo che hanno avuto, dall'età del Bronzo in poi, nel reperimento di metalli preziosi (argento e oro), di minerali come la cassiterite, (da cui si ricava lo stagno che, legato al rame, da il bronzo) oltre alla conoscenza delle tecnologie metallurgiche per la produzione di metalli (bronzo, argento) e il loro ruolo nella commercializzazione stessa, anche via mare, di bronzo, piombo, sale, oro, argento e dell'ambra, proveniente dalle coste baltiche, anche se non possediamo documenti scritti e informazioni specifiche sulla loro marineria e notizie inerenti alla forma della loro società. Per quanto gli antichi Liguri, nei tempi storici, abitassero gran parte dell'Europa sud-occidentale e mantenessero frequenti contatti di tipo mercantile con l'Europa atlantica, centrale e baltica (per il reperimento dell'ambra), non lasciarono mai documenti scritti per perpetuare la loro memoria, attenti com'erano a mantenere segreti i loro monopoli. Quello che ci hanno trasmesso possiamo estrapolarlo dalla loro arte megalitica e dai loro antichi petroglifi. Non sappiamo come chiamassero se stessi, anche se probabilmente ogni tribù aveva un proprio nome da quello di un loro condottiero o di un luogo o di una divinità. Certamente si mischiarono alle popolazioni iberiche prima, ai Greci di Focea e ai Celti poi, tanto che alcune tribù definite Celtiche erano in effetti Liguri, come i Taurini, i Friniati, ecc., così come gli Euganei, i proto-Leponti... Ma rimasero sicuramente Liguri puri fra il Rodano e l'Arno e a nord fino al Po.
Carta con la probabile estensione del lago Ligustinus (ligure
in latino) e i centri di Tartesso e la successiva Gades (Cadiz)
Nel "V Simposio Internazionale di Preistoria Peninsulare: Tartesso 25 anni dopo" tenuto a Jerez de la Frontera nel 1995, vennero illustrate le ipotesi contenute nei testi di O. Arteaga , H.D. Schulz e A.M. Roos sul tema: "Il problema del Lacus Licustinus. Ricerca geoarcheologica intorno alle paludi del Basso Guadalquivir".
Ecco uno stralcio della relazione: "Il Professor Schulten, considera ligure l'intera penisola spagnola prima dell'invasione della stirpe iberica (camita-berbera) dall'Africa, e pensa che la lingua basca sia una reliquia ligure. L'affermazione che la popolazioni primitive della penisola sia ligure, poggia su un brano di Esiodo del VII secolo a.C., chiamante ligues (ligure n.d.r.) tutta l'Europa occidentale. Eratostene la chiama Ligustica. Rufo Avieno, descrivendo l'attuale Andalusia, cita il lacus Ligustinus, e chiama la Galizia e il Portogallo "Oestrimnios", nome identico a quello ligure per Bretagna.
Carta con le vie di penetrazione in
Europa della civiltà dei megaliti
secondo l'Atlante Storico di Hermann
Kinder e Werner Hilgemann del 1964.

Tra le altre prove di insediamento ligure in Galizia, vi sono le somiglianze di nomi galiziani nella popolazione con riferimenti alla costa ligure della Francia meridionale e del nord-ovest dell'Italia; anche se i nomi di origine ligure compaiono in diverse parti della penisola iberica, in particolare sembrano essere concentrati in Galizia. Inoltre, in Portogallo, la penisola più occidentale (Cáceres) e il fiume Sado hanno nomi tipici delle persone che occupano la Liguria e in particolare le sue coste. Per il Professor Schulten, l'etnia ligure è stato il principale substrato della popolazione nativa e la popolazione dominante nella regione centrale della Andalusia prima della fondazione della città di Tartesso. Per noi, questo giustifica il nome del lago ligure che viene dato nel VI a.C. all'ambiente palustre che esiste nell'enclave stesso territoriale nella capitale e città portuale di Tartesso. Si noti anche l'esistenza di una città vicina chiamata Tartesso Ligustina.
Secondo noi c'era una intesa commerciale tra i popoli Liguri ancestrali, originariamente associata alla diffusione della cultura megalitica.
Cassiterite, minerale da cui si estrae
il piombo
 I Liguri, sparsi nel Mediterraneo occidentale e sulle coste atlantiche, su entrambe le vie commerciali marittime dell'Europa occidentale, hanno permesso la circolazione delle merci, minerali e prodotti in metallo. Il nostro proposito è quello di evidenziare il fatto che la popolazione Ligure pre-tartessica veva raggiunto un ruolo di rilievo in questa intesa, grazie alla sua posizione strategica e alla straordinaria ricchezza di metalli nella sua area di influenza.
In particolare si è imposto il flusso di metalli pesanti dal nord Atlantico (principalmente stagno e piombo) verso il Mediterraneo occidentale. Quest'intesa commerciale tra i popoli Liguri ancestrali non era dichiarata, ma tenuta segreta per tutelare il monopolio Ligure sui loro prodotti e commerci: sale, oro, argento, bronzo, ambra..."
Carta dell'enclave di Tartesso in verde oltre alle colonie
greche e cartaginesi, da http://es.wikipedia.org/wiki/Tartessos
- La civiltà pre-tartessica sarebbe stata costituita dal substrato culturale di diversi popoli (liguri, iberici e coloni orientali arrivati da Creta  nel  3.000 a.C.), ma presumibilmente era ligure (come indica il toponimo Lago Ligur, il Lagus Ligustinus per i Romani) il substrato predominante nella zona prima della fondazione della capitale tirrenica Tartesso. Tutto questo avrebbe permesso ai Liguri di gestire i commerci in ambito mediterraneo e atlantico fino al 1.200 a.C., quando i di Tirseni, o Tirreni, da cui derivarono gli Etruschi occuparono la Tartesso Ligustica (nel delta acquitrinoso del Tartesso, il Guadalquivir, navigabile fin dopo l'attuale Cordova, in territori ricchi di metalli fino alla Sierra Morena) e i fenici, dopo aver edificato Gadir, l'attuale Cadiz, dopo 200 anni monopolizzarono il Mar Mediterraneo occidentale, difendendo con spaventosi racconti e dove non bastavano, con la violenza, la conoscenza geografica e l'ubicazione delle materie prime delle terre oltre le colonne d'Ercole.
Per il post "Antichi Liguri: dai Primordi ai Megaliti", clicca QUI
Per il post "Tartesso: prima i Liguri, poi Fenici e Greci", clicca QUI
Per il post "Il Lago Ligure nella mitica Tartesso", clicca QUI
Per il post "Ercole e altri miti a Tartesso", clicca QUI
Per il post "Tartesso: l'Economia", clicca QUI
Per i post "Antichi Liguri da Tartesso ai Celti" clicca QUI

Tipici terrazzamenti liguri.
Dal 2.300 p.e.v. (a.C.) - Con l’età del Bronzo (2.300-1.000 a.C.) cominciano ad essere costruiti i terrazzamenti, che  diventeranno il segno distintivo del paesaggio ligure.
Le Isole di Scilly, le probabili antiche
Isole Cassiteriti, a ovest della
Cornovaglia, in Inghilterra
Sembra che fin dagli albori dell'Età del Bronzo il vincolo della nazione ligure sia stato il traffico di stagno, piombo, argento e oro fra Gran Bretagna, Bretagna, Galizia, Portogallo centrale e sud della Spagna. Questi beni come i minerali (cassiterite) o metallo puro (oro e argento) dovevano essere oggetto di produzione e commercio attivo, condotto prima da terra e da un villaggio all'altro sulla falsariga di quello che è successo, nelle narrazioni degli antichi Greci, con l'ambra baltica e le offerte di Iperborea al delfico Apollo.
Più tardi questo commercio avveniva via mare dal Guadalquivir inferiore, nella cui foce era il Lago Ligustico o Ligure, nel Territorio dove fu edificata la mitica Tartesso, dove sembra che la produzione, la lavorazione e il commercio avessero raggiunto uno standard di alto livello.

- A partire dal II millennio a.C. (neolitico) si hanno notizie della presenza dei Liguri su un territorio molto vasto, corrispondente alla maggior parte dell'Italia settentrionale e centrale.

Reperti in stile "Ligure"
della cultura di Polada.
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- La cultura di Polada (2.200-1.600 a.C. circa) è il nome con cui ci si riferisce ad una cultura dell'età del bronzo antica, diffusa in tutta l'Italia settentrionale, che nelle sue espressioni artistiche, come le stele antropomorfe qui a fianco, rispecchia l'arte degli antichi Liguri. Vi sono alcuni punti in comune anche con la cultura del vaso campaniforme tra cui l'uso dell'arco e una certa maestria nella metallurgia . In un sito di questa cultura presso Solferino è stato rinvenuto il più antico esempio di cavallo addomesticato in Italia. Il nome deriva dalla località di Polada, nel territorio del comune di Lonato del Garda, dove negli anni tra il 1870 e il 1875 si ebbero i primi ritrovamenti attribuiti a questa cultura in seguito a lavori di bonifica in una torbiera. Altre stazioni importanti si ritrovano nell'area tra Mantova e il Lago di Garda e il lago di Pusiano. Gli insediamenti in zona di laghetti e paludi intermorenici sono a palafitte appoggiate su "bonifiche" di tronchi orizzontali, disposti in piattaforma stratificata o cassonata. Se la ceramica è di impasto ancora grossolano, le altre attività umane crescono e si sviluppano: industria litica, in osso e corno, legno, metalli. Gli strumenti e le armi in bronzo mostrano somiglianze con quelli della cultura di Unetice e di altri gruppi a nord delle Alpi.

Antica rappresentazione di un'Eingana.
Il ricordo degli Euganei si conserva nelle 
leggende e nelle favole delle anguane/
angane/aivane, ecc. Gli antichi Euganei
abitavano in palafitte lungo laghi e fiumi
e le Anguane sono la loro rappresentazione
mitica. Esso, probabilmente, ricorre/ritorna
nelle varianti etnonimiche: in retico Anauni,
in ligure Ingauni. Clicca sull'immagine
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- Gli Euganei erano un popolo insediatosi originariamente nella regione compresa fra il Mare Adriatico e le Alpi Retiche. Successivamente essi furono scacciati dai popoli Veneti in un territorio compreso tra il fiume Adige ed il Lago di Como, dove rimasero fino alla prima età imperiale romana. Si trattava probabilmente di un popolo preindoeuropeo di stirpe affine a quella dei Liguri Ingauni, come testimoniato dall'analogia dei nomi. Si dedicavano alla raccolta e alla caccia ed erano nomadi. Scoprirono poi l'agricoltura e l'allevamento diventando sedentari e costruendo villaggi di capanne e palafitte, radunandosi in tribù. Già nei tempi antichi conoscevano l'uso dei metalli. Testimonianze apprezzabili risalgono al neolitico indicando una società piuttosto primitiva: tracce di abitazioni, ma soprattutto manufatti di osso, selce e vasi di terracotta ad uso religioso.
Gli insediamenti principali sono stati ritrovati sulle colline vicine a Padova; scendevano in pianura per celebrare riti religiosi, in particolare in prossimità delle sorgenti termali dove adoravano varie divinità, fra cui forse il dio Apono, più tardi entrato a far parte dei culti delle popolazioni Venetiche. Ad essi si deve il termine "Venezia Euganea" usato in passato per definire la regione Veneto. 

- L'archeologia rileva che nel periodo dal X al VIII secolo a.C., il territorio a sud del Tevere era caratterizzato dalla cosiddetta facies laziale o cultura laziale, dopo la precedente cultura proto-villanoviana (collegabile con la civiltà di origine indoeuropea dei campi di urne dell'Europa centrale), che interessò l'area tirrenica della Toscana e del Lazio fra il XII e il X secolo a.C., sovrapponendosi alla cultura appenninica (ligure n.d.r.) che dominava la regione nei secoli precedenti. Alla cultura laziale viene associata la formazione dell'ethnos (gruppo umano) latino, che sul finire del secondo millennio a.C. si era già già costituito in una serie di comunità (menzionate da Plinio il Vecchio) che avevano come centro principale Alba «Longa». Albalonga (nei pressi del Monte Albano e del lago Albano), secondo il mito, fu fondata dal figlio di Enea, Ascanio (o Julo), e fu eretto un santuario federale dedicato a Giove Laziale (Strabone, "Geografia" V, 3, 2). La fondazione di Alba, secondo la tradizione che vuol essere storia, così è descritta da Dionigi di Alicarnasso (60 a.C. circa - 7 a.C.): « Nel trentesimo anno dopo fondata Lavinio, Ascanio, figlio di Enea, fondò un'altra città; e dai Laurentini e da altri Latini e da quanti altri desideravano una sede migliore, trasportò gente nella città recentemente costrutta, cui aveva posto nome "Alba", la quale in lingua greca (λευκή) significa "bianco" ma per distinguerla da altra città che aveva lo stesso nome, vi aggiunse una parola, che con la prima forma un insieme, "Alba Longa", cioè, Λευκή μακρά ("bianco lungo" in italiano) » (Dionigi di Alicarnasso, I, 66). Questo resoconto sull'origine del toponimo costituente il nome Alba lascia piuttosto perplessi! Intanto in greco il suffisso "alb" significa "camice" ed inoltre non si capisce quale fosse l'altra "Alba" e dove sorgesse; Dionigi non lo dice, né adduce il motivo per il quale la nuova sia detta "Longa". Alba Fucens, segnalata nella carta del Lazio antico qui sopra come Alba, fu fondata da Roma come colonia di diritto latino solo nel nel 304/303. Per quanto molti studiosi pensassero che il toponimo "Alba", assai diffuso nel mondo latino, derivi da una comune radice indoeuropea che significa "altura", ma anche "bianco", e secondo Olstenio (Luca Olstenio, in lingua tedesca Lukas Holste, latinizzato in Lucas Holstenius; 1592 - 1662, umanista, geografo e storico tedesco di religione cattolica) il nome deriverebbe "dal campo all'intorno, sparso e pieno di sassi bianchi", oggi invece, sulla base anche delle antiche fonti storiche, si è convinti che il nome abbia una diversa origine, ne latina ne indoeuropea. Tito Livio (59 a.C. - 17), infatti, scrive: « is Ascanius, ubicumque et quacumque matre genitus - certe natum Aenea constat - abundante Lavini multitudine florentem iam, ut tum res erant, atque opulentam urbem matri seu novercae relinquit, novam ipse aliam sub Albano monte condidit, quae ab situ porrectae in dorso urbis Longa Alba appellata est » (Livio, I, 3), che grosso modo significa: « Questo Ascanio, di dove o di quale madre - certamente figlio di Enea - della città di Lavinium, in cui fioriva una numerosa popolazione, che era stata per lui una madre, divenne matrigna e lui lasciò una città prospera e ricca per fondare una nuova città che si estendeva al di sotto del monte Albano, chiamata Alba Longa ».
Qui c'è da osservare che la città si fondava sub monte Albano, e vuol dire che già il toponimo "Albapparteneva al nome di questo monte, così come probabilmente anche il lago a valle del monte si chiamava già Albano. Per "Elenco degli storici antichi dell'Occidente" clicca QUI.

Wolfgang Helbig (1839 - 1915) in "Die Italiker in Der Poebene" del 1879 scriveva: «Il nome di Alba s'incontra spesso in Liguria. Un luogo di questo nome trovasi a occidente del Rodano nel territorio degli Elvii. A settentrione di Massalia (Marsiglia) conosciamo una popolazione montana ligure degli "Aλβιείς", Albienses o Albiei, e nel suo territorio sorge Alba Augusta. Seguono in direzione orientale sulle coste italiane Albium Intemelium (Ventimiglia), Albium Ingaunum (Albenga), Alba Decitia. Non lontana dal versante settentrionale degli Appennini trovasi sul Tanaro Alba Pompeia (Alba in Piemonte). Da ciò viene il quesito, se non sia la stessa voce ligure contenuta nel nome di Alba Longa. Al tentativo di spiegare questo nome con l'aggettivo latino "albus" (e cioè bianco, in latino, n.d.r.), contraddice non solo che da qualche attributo non si sia mai formato un nome di luogo, ma anche la considerazione che l'aspetto di Alba Longa debba destare una impressione opposta all'aggettivo latino (bianco). Questo luogo è collocato sopra materiali vulcanici dei monti Albani, e il colore fondamentale della regione è grigio scuro.»
Giuseppe Sergi, (1841 - 1936, antropologo siciliano) facendo riferimento alle affermazioni di W. Helbig sulla strana natura del nome "Alba Longa", passa ad osservare i suoi derivati e si sofferma su "Albula", antico e primitivo nome del Tevere, come Livio, Plinio e Virgilio (Albula nomen) scrissero. Si conclude che il nome non può aver a che fare con la colorazione in quanto Virgilio stesso chiama flavus (giallo) il Tevere, perché trasporta sabbia, poi ancora lo chiama "caeruleus", "ceruleo", e anche Orazio lo chiama flavum. Esiste un altro fiume Albula nel Piceno, ricordato da Plinio nell'enumerare abitati e fiumi della quinta regione italica, il Piceno; e nomina anche fra altre città "Numana", a Siculis condita (fondata dai Siculi). Ciò significa che la regione era occupata dai Siculi, i quali diedero i nomi dei fiumi e degli abitati secondo il loro linguaggio. Poi ancora abbiamo Albinia, nell'Argentario, territorio che dall'occupazione ligure passò poi agli Etruschi, un monte Alburnus in Lucania, un fiume Alba in Sicilia, ricordato da Diodoro Siculo; oltre alle varie Alba Pompeia in Piemonte e Alba Decitia, oltre ad Albium o Album o Alba Ingaunum e Alba Intemelium, (Albenga da Albium Ingauna e Ventimiglia da Albium Intemelia) in Liguria; la tribù degli Albiei (Albleis) situata a nord di Marsiglia e Alba nella Provenza; Alba nella Betica in Spagna e Alba, fiume a nord-est della Spagna.

Quale fosse il linguaggio degli antichi Liguri e Siculi non lo sappiamo con precisione, poiché non adottarono la scrittura, ma sicuramente usavano largamente il toponomo "Alb" e presumibilmente la famiglia toponimica paleoligure di Alba si connetteva a idronimi paleoeuropei di "Alb-" e, apofonicamente, al tipo "Olb-" (anche "Orb-" in Liguria).
Giovanni Semerano (1911 - 2005, bibliotecario, filologo e linguista, studioso delle antiche lingue), tra gli altri sostenitori dell’origine della radice "alb" da una famiglia linguistica non indoeuropea (nella teoria dell’Autore questo è postulato per definizione, dato che viene rifiutata l’esistenza stessa dell’indoeuropeo), propone una derivazione dall’antichissima voce accadica "alpium" a sua volta dal sumerico "albia" = "sorgente", "massa d'acqua", "cavità d'acqua". Questa forma si sarebbe poi trasferita nel sistema toponimico delle lingue indoeuropee mantenendosi immutata nella radice "alb" ed è ulteriormente analizzabile come ampliamento della radice protoindoeuropea "Hal-" = "nutrire". Simile diffusione ha la base indoeuropea "HwaH-r-" = "acqua". Non sorprende quindi il ricordo di Strabone (prima del 60 a.C. - 21/24 d.C.), che le Alpi prima avevano il nome di Albia, e Albius mons era detta la sommità delle Alpi Giulie: con i loro ghiacci erano effettivamente grandi sorgenti d'acqua. La radice "albh" è la base dell'idronimo paleoeuropeo Albis, il nome del fiume Elba in Germania. Olbia, la più antica colonia di Mileto, sul Mar Nero, ad esempio, ebbe come nome epicorico Olbia (senza varianti), derivato dalla radice "albh" con apofonia vocalica della "a" iniziale nel grado atimbro "o" (il radicale "olbh" è equivalente sul piano lessicale e derivato a livello morfofonologico dalla base "albh") e Olbia si ritrova, come toponimo, anche in Britannia, sulla destra del fiume Bug (in Ucraina), in Provenza, in Sardegna, in Licia e altrove, a latitudini molto differenti. Albiōn, il nome di origine ancestrale della Britannia, denota la grande isola sulla Manica, un luogo sull’acqua e circondato dall’acqua.

Giuseppe Sergi si chiese quindi se Alba Longa non fosse stata fondata da genti sicule o liguri.
Effettivamente le antiche genti liguri abitarono gran parte dell’Italia per essere poi, col tempo, private di molti territori dall’avvento di nuovi popoli. Tribù di Liguri erano stanziate in Veneto (come gli antichi Euganei, Camuni, Trunplini, Stoni e gli antichi Leponzi, prima di "celtizzarsi", parlavano una forma di ligure arcaico, come si può rilevare dalle loro più antiche iscrizioni. ), prima dell'arrivo dei Veneti arcaici, che arrivarono nella penisola italica insieme ai Latini, così come popolazioni erano stanziate sugli appennini, dai settentrionali a quelli centrali.
Servio M. Onorato Grammatico (IV secolo) estende il territorio delle genti liguri sino alla riva sinistra del Tevere, e anche lui sostenne come l’antico nome del fiume, Albula, così come quello della città di Alba Longa, progenitrice di Romolo e Remo, derivassero dalla lingua ligure, così come la tribù degli Albiei (Albleis) situata a nord di Marsiglia e le città di Alba Augusta, Alba Intemelium, Alba Ingaunum, Alba Decitia, Alba Pompeia, ecc. ecc.
Nel Lazio non c'è stata una tradizione che ricordasse l'antico stanziamento di Liguri, ma di Siculi sì.
Carta del Lazio antico con Albalonga e Lavinius
Riportava Dionigi di Alicarnasso: « La città che dominò in terra e per tutto il mare, e che ora abitano i Romani, secondo quanto viene ricordato, dicesi tenessero gli antichissimi barbari Siculi, stirpe indigena; questi occuparono molte altre regioni d'Italia, e lasciarono sino ai nostri giorni documenti non pochi nè oscuri, e fra questi alcuni nomi detti Siculi, indicanti le loro antiche abitazioni » (Dionigi di Alicarnasso I, 9; II, 1, da una traduzione del Sergi stesso) ed inoltre un quartiere di Tivoli, che ancor oggi conserva il nome di Siciliano, avrebbe ospitato dei Siculi ancora al tempo di Dionigi.
Esaminando i caratteri fisici dei Liguri e dei Siculi, Sergi avrebbe stabilito la loro identità: anche da ricordi archeologici risulta esservi stato un simile comune costume funerario; lo scheletro neolitico di Sgurgola presso Anagni era colorato in rosso come gli scheletri neolitici delle Arene Candide di Finale Ligure, (e dei Balzi Rossi, n.d.r.) grotte liguri. Liguri e Siculi sarebbero stati quindi due rami dello stesso ceppo umano solo che, avendo differenti abitati e avendo avuto diversi condottieri, sarebbero stati erroneamente considerati come due razze diverse. La teoria è quindi che quando si parli di questi antichissimi barbari Siculi, primi abitatori della città che poi fu Roma, si tratti di una popolazione ligure chiamata sicula poiché condotta da Siculo, o Sikelòs. Troviamo effettivamente un riscontro di questa affermazione in Filisto di Siracusa, riportato da Dionigi di Alicarnasso, il quale sostiene come la popolazione che passò dall'Italia in Sicilia, i Siculi, fossero Liguri, così definiti poiché condotti da Siculo. Servio scrive che la città denominata "Laurolavinia", composizione dei nomi delle due città di Laurentum e Lavinium che si fusero, sorse dove già abitava Siculos (Sikelòs). Nel Lazio e in altre regioni d'Italia questa identità di razza dei Siculi con i Liguri è rivelata anche dalla similitudine dei toponimi nei nomi dei luoghi, monti, fiumi, laghi. Dionigi, che già aveva scritto come i Siculi fossero i più antichi abitanti dei luoghi su cui poi sorse Roma e del territorio latino, narra che i primi aggressori del loro abitato, con una lunga guerra, furono i cosiddetti Aborigini, (coloro che lui credeva gli aborigeni italici) che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lebio in Dionigi, infine, stanchi delle aggressioni o non potendo resistere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero migrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia, che da loro avrebbe preso il nome. Non tutti i Liguri-Siculi avrebbero seguito Siculo in Sicilia e sarebbe per questo motivo che si riscontrano tracce liguri-sicule anche altrove.

- Possiamo quindi supporre che le popolazioni stanziate nel Lazio e proprio nell'area dove verrà poi fondata Roma, nel XIV secolo a.C., prima dell'arrivo dei Latini, fossero Liguri. I Liguri avevano avuto anche il controllo della Toscana, dell'Umbria (loro erano state Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio) e delle Marche, in cui avevano fondato Numana e Ancona. Questi Liguri erano denominati Siculi, dal nome di un loro capotribù, Siculo o Siculos o Sikelòs, e potrebbe trattarsi dei Šekeleš, uno dei popoli del Mare, che nel nome ricordano appunto il termine greco Sikelioi per identificare i Siculi: questo popolo di pirati/invasori, coalizzato con altri Popoli del Mare, fu sconfitto e ricacciato dall’Egitto nel 1176 a.C. dal Faraone Ramses III ("Storica" del National Geographic, numero 42, agosto 2012, pagg. 45-56).
Carta con le espansioni delle genti liguri nella penisola
iberica e nella penisola italiana fino all'entrata in Sicilia,
nel XIII sec. a.C.
Dionigi di Alicarnasso, storico greco del I secolo a.C., nelle sue "Antichità romane" scrive dei Siculi come della prima popolazione che abitò la zona dove poi sorse Roma, e il loro confine territoriale a sud arrivava presso il fiume Salso, in Sicilia, dove rimase fino all'arrivo dei Greci e aggiunge, a proposito degli aborigeni italici, l'opinione di alcuni secondo i quali i Siculi sarebbero stati coloni di stirpe ligure, definendo i Liguri "vicini degli Umbri", riportando che abiterebbero "molte parti dell'Italia e alcune parti della Gallia", ma di cui non si conosce il luogo d'origine. Riferisce inoltre dei versi del "Trittolemo" di Sofocle che enumera i Liguri lungo la costa tirrenica a nord dei Tirreni (il nome per Etruschi usato dai greci) e ancora riprende la notizia di Tucidide, che riferisce come i Sicani, popolazione stanziata alla foce del fiume Sicano (l'attuale Jucar), nella penisola iberica, furono scacciati dai Liguri, cosicché questi si rifugiarono in Sicilia, che da loro prese il nome di Sicania, così come è chiamata anche nell'Odissea. Anche i Sicani sono ricordati nel Lazio (l'antico Latium vetus), in "Solinosia" di Plinio il Vecchio, dove i Sicani sono considerati popoli della lega del Monte Albano. Questi stessi Sicani  sono ricordati nell'Eneide di Virgilio come alleati dei Rutuli, degli Aurunci, dei Sacrani e Aulo Gellio e Macrobio li ricordano con gli Aurunci ed i Pelasgi.
Varrone, nel "De lingua latina", considerava i Siculi originari di Roma perché numerose erano le somiglianze tra la lingua loro e quella latina. Servio considerava addirittura i Siculi giunti dalla Sicilia a Roma, e cioè proprio al contrario di tutte le altre testimonianze. Invece Festo fa i Siculi respinti dai Sacrani o Sabini insieme con i Liguri. Infine Solino li considera tra le più antiche popolazioni dell'Italia con gli Aborigeni, gli Aurunci, i Pelasgi e gli Arcadi.  Un'altra tradizione sull'origine ligure dei Siculi si ritrova in Stefano di Bisanzio, in cui si cita un passo di Ellanico di Mitilene, e anche in Silio Italico i Siculi sono considerati Liguri. In seguito a queste affermazioni si è rilevata dagli storici moderni la presenza di nomi di città come Erice, Segesta ed Entella in Liguria. Anche secondo Filisto da Siracusa, gli stessi Siculi sarebbero stati Liguri, cacciati dal Lazio dagli Umbri e dai Pelasgi e passati in Sicilia sotto la guida di Siculo, ottant'anni prima della guerra di Troia (quindi intorno al 1.270 a.C.).

- Poi, nell'Italia appenninica, le popolazioni liguri entrarono in conflitto con i nuovi arrivati: Pelasgi, Etruschi e discendenti da popolazioni Indoeuropee giunte in Italia e definite "Aborigeni" dagli storici antichi. Nelle fonti antiche, Claudio Eliano, storico del II - III secolo dopo Cristo, ancorché poco attendibile, sostiene nelle sue "Storie varie" che il primo abitante dell’Italia fosse un certo Mar, progenitore della tribù dei Liguri Marici (i Marici furono un antico popolo celtoligure della provincia di Pavia e della provincia di Alessandria).
Ipotesi della componente
genetica ligure in Italia.
Da http://www.internosedizioni.com/abstract/vinelli_portofino.pdf: ...I Liguri rappresentavano una realtà politica importante prima dell’avvento dei Romani: popolo di ceppo e lingua ben distinta rispetto ai Celti - che occupavano allora la gran parte dell’Europa (si pensi ai Galli ed ai Britanni) - il loro territorio, intorno al IV - II secolo a. C., si estendeva, sulla costa, dalle foci del Rodano (dove i Greci avevano fondato Marsiglia) sino alla Lunigiana, e nell’entroterra in Provenza, in tutto il basso Piemonte, nel Pavese sino al Po ed in parte dell’Emilia (tutto il limite settentrionale fu poi conteso con i Galli). In Toscana i confini dovettero variare nel tempo, in misura che la potenza degli Etruschi cresceva o andava scemando: lo storico greco Polibio (circa 206 a.C. - 124 a.C.) ci tramanda che i Liguri si estendevano sino a Pisa sulla costa e ad Arezzo nell’interno; il geografo Strabone di Amasea (circa 58 a.C. - 25 d.C.), quando ormai tutta l’Italia era dominio di Roma, li limita invece sino ai piedi degli Appennini (L. Gambaro, "La Liguria costiera tra III e I secolo a.C. - Una lettura archeologica della romanizzazione", Mantova 1999, pagg. 13-14; Polibio II, 14-17; Strabone V, 1, 3.3). Da tali fonti si ricava un dato che stupisce: i monti, sia le Alpi che gli Appennini, anziché separare, erano un elemento unificante per i Liguri, anzi l’elemento unificante. Gran parte degli studiosi ritiene che i Liguri siano il popolo storicamente più antico d’Italia e dell’Europa occidentaleanteriore alle invasioni dei popoli indoeuropei come invece furono i Celti: per dirla chiara, i Liguri non sarebbero di razza ariana, ammesso che sia mai esistita una razza ariana. Secondo alcuni autori anticamente abitavano anche la zona dei Pirenei (le tribù liguri dei Sordi o Sardi, dei Bebrici e degli Elesici), ma poi, a seguito di rapporti non sempre necessariamente bellicosi, si fusero coi nuovi venuti dando vita agli Ibero-Liguri; così come nacquero stirpi Celto-Liguri alle foci del Rodano e a nord del Po. Tesi un po’ ardita (ma chi potrebbe smentirla?) vorrebbe che tracce genetiche, linguistiche e culturali dei Liguri permarrebbero in regioni rimaste nei secoli isolate: e così il popolo basco e alcuni abitatori delle chiuse valli alpine sarebbero discendenti di quel fiero popolo (G. Nicolucci, "La stirpe ligure in Italia ne’ tempi antichi e ne’ moderni", in "Atti della Società di Scienze fisiche e matematiche", Società Reale di Napoli, Napoli, 1865, Volume II, pag. 1 e segg.).

- Se le tribù Liguri chiamate Siculi furono scacciate dall'Italia centrale e meridionale da un'alleanza fra Pelasgi, Umbri e altre genti definite dagli storici antichi "aborigeni",  vediamo ora le fonti storiche in nostro possesso sui Pelasgi. Con il nome Pelasgi (in greco antico Pelasgói, singolare Pelasgós), i Greci dell'età classica indicavano il complesso delle popolazioni preelleniche della Grecia, che ritenevano autoctone ma, all'epoca, ormai estinte e delle quali, peraltro, riportavano vicende confuse e contrastanti.
Carta della Grecia antica con i vari
dialetti parlati.
Sappiamo che le popolazioni pelasgiche che rimasero in Grecia dopo le invasioni di Ioni, Achei, Eoli e Dori, si stanziarono in Arcadia, nel Peloponneso e parlavano un dialetto chiamato arcado-cipriota.
Secondo moderne teorie genetiche, le popolazioni pelasgiche, precedenti delle culture minoiche e elleniche, appartenevano agli aplogruppi del tipo I , arrivati dal Medio Oriente come aplogruppo IJ circa 35.000 anni fa e sviluppati in aplogruppo I circa 25.000 anni fa, E-V13 e T, arrivati dall'area siriana, dopo aver colonizzato l'Anatolia meridionale, in epoca neolitica, 8.500/7.000 anni fa e G2a, giunti dal Caucaso, attraverso l'Anatolia meridionale circa 6.000 anni fa, legati alla pastorizia ed alla lavorazione dei metalli.
Archeologicamente, i Pelasgi potrebbero essere identificati con il popolo dei "Peleset", citato nelle iscrizioni egiziane tra i Popoli del Mare che attaccarono l'Egitto durante il regno del faraone Ramses III, ed aver poi formato il popolo dei Filistei, da cui derivò il nome di Palestina, da Philastinia.
Antica rappresentazione dei Pulasti
o Peleset con i loro caratteristici
copricapi piumati nel tempio
egizio di Medinet Habu (Tebe)
Le iscrizioni in geroglifico del tempio funerario del faraone Ramses III (1193-1155) di Medinet Habu, potrebbero contenere un chiaro riferimento, forse l'unico, archeologicamente documentato, dell'esistenza reale del popolo dei Pelasgi.
L'insediamento dei
Peleset (Filistei)
nel Canaan.
L’iscrizione descrive un attacco effettuato nell’8º anno di regno del faraone (il 1186 a.C.) da un’alleanza di cinque popoli stretta dopo aver distrutto la città di Ugarit (in Siria): tra costoro compaiono i  Peleset (i Pelasgi), oltre agli Šekeleš (i Siculi), i Tjeker, gli Wešeš e i Denyen, con al seguito donne, bambini e masserizie. I popoli vengono complessivamente denominati "Popoli del mare, del nord e delle isole". Secondo l'iscrizione, gli Egizi respinsero gli invasori a Djahy, una località nella terra di Canaan. L'origine egea dei Peleset (e quella dei Tjeker e dei Denyen) è attestata dall'iconografia dei guerrieri riprodotti, che indossano un elmo piumato, trattenuto alla gola da una fascetta di cuoio e hanno in dotazione spade di tipo acheo. L'elmo piumato, infatti, trova riscontri anche nell'ambito egeo dell'età del bronzo e nel cretese disco di Festo. I Peleset si sarebbero poi stabiliti nel Canaan, dove avrebbero formato il popolo dei Filistei.
Già nella "Grande iscrizione di Karnak", Merenptah, tredicesimo figlio di Ramesse II e faraone dal 1212 al 1202 a.C., ricordava la sua vittoria su una prima ondata di invasione dei cosiddetti "Popoli del Mare", nella quale avrebbe ucciso 6.000 nemici e fatto 9.000 prigionieri.
L'attacco venne condotto da una coalizione composta da tre tribù Libiche (Libu, Kehek e Mushuash) e dai "popoli del mare", composti da cinque gruppi (Eqweš o Akawaša, Tereš o Turša o Twrs (Twrshna, o Tursha), Lukka, Šardana o Šerden e Šekeleš).
Gli invasori il cui nome era Twrs, possono essere identificati con con le genti chiamate dai greci Turs-anòi (in dorico), Tyrs-enòi (in ionico), Tyrrh-enoi (in attico) e dai latini Tus-ci (da Turs-ci) ed E-trus-ci.
Nelle lingue antiche la "c" e la "g" erano dure, come in cane e gallo, per cui Tusci si pronuncia "tuschi" ed Etrusci si pronuncia "etruschi".
Carta con Dodona, sede del tempio
pelasgico di Zeus
Seguendo la terminologia degli antichi storici greci, con il termine "pelasgico" ci si riferisce agli abitanti stanziati in Grecia in età pre-micenea, prima delle invasioni di Ioni, Eoli, Achei e Dori dal 2.000 a.C. in poi. Nel periodo classico, una provincia della Tessaglia, nella Grecia settentrionale, era ancora chiamata Pelasgiotide, cioè "terra dei Pelasgi", pur essendo ormai abitata da Greci. Il territorio principale dei Pelasgi era tradizionalmente ritenuto l'Arcadia, mentre la loro patria d'origine era considerata l'Argolide, da dove sarebbero emigrati sia in Tessaglia che a Lesbo, nell'Ellesponto, nella Licia e anche in alcune zone dell'isola di Creta. Dalla Pelasgiotide tessala, i Pelasgi avrebbero esportato in Epiro il culto di Zeus, in particolare a Dodona, ove esisteva il santuario di un oracolo, tradizionalmente considerato il più antico della Grecia.
A sud della Troade, i Pelasgi avrebbero occupato, oltre alla Licia, anche la Caria e l'isola di Lemno, che avrebbero abitato sino alla fine del VI secolo a.C.
Nel V secolo a.C. sembra che popolazioni pelasgiche abitassero ancora alcune città dell'Ellesponto, di cui oggi si è persa memoria. Varie tradizioni conferiscono ai Pelasgi una parte di primo piano nel processo del popolamento dell'Italia. Ad essi era attribuita la realizzazione delle mura poligonali dell'Italia centro-meridionale, nell'antichità definite "pelasgiche", probabilmente per la loro somiglianza ad una muraglia di fortificazione in Atene, detta "muro pelasgico" poiché attribuita a tale popolazione.

Carta con le pelasgiche Spina ed Adria.
- Intorno al 1.450 a.C. i Pelasgi arrivarono sul suolo italico: "I Pelasgi... un popolo che occupava in antico tutto il bacino dell'egeo e tutta la Grecia continentale compreso il Peloponneso, e occupò in seguito vaste zone dell'Italia... nessuna altra stirpe pregreca viene descritta dagli storici antichi come colonizzatrice di estensioni così vaste, e l'opera di colonizzazione nella penisola italica sembra partisse appunto dalle bocche del Po, con Spina, e di qui si irradiarono per tutta la pianura padana fondandovi le dodici città ricordate da Diodoro Siculo (XIV, 113, 1) che secondo lo storico preesistevano all'occupazione da parte degli Etruschi di almeno sette secoli" (da "La Tirrenia antica", opera in due volumi scritta da Claudio De Palma e pubblicata da Sansoni Editore: volume I, pgg. 214-215).
Spina era un'antica città situata nella bassura padana accanto alle sponde dell'Adriatico, la cui esistenza è attestata da varie fonti. Tra queste Dionisio di Alicarnasso ("Antichità romane", I, 18, e 28, 3) secondo il quale schiere di Pelasgi, o per consiglio dell'oracolo di Dodona o per sottrarsi agli Elleni, passarono per mare in Italia, e presso il fiume Spinete (un ramo del Po, nei pressi dell'attuale Comacchio) fondarono un accampamento, che si trasformò nella florida città di Spina, che mandava doni votivi a Delfi; ai Pelasgi successero i barbari (cioè i Celti), poi i Romani. Spina, come riferiscono Strabone e Plinio, aveva un edificio per contenere doni votivi, nel santuario apollineo di Delfo e per questo fu poi considerata come città ellenica, e l'elemento ellenico dovette essere evidente in Spina, specialmente quando nei primi tempi del secolo IV a. C. Dionisio il Grande, signore di Siracusa, fece sentire il suo potere alle foci del Po con un programma di colonizzazione che gli assicurò un controllo totale sulle rotte adriatiche che portavano il grano verso la madrepatria, permettendo così a Siracusa di competere con gli Etruschi in questo commercio. Inoltre risolse un grave problema di politica interna, mandando a popolare le nuove colonie tutti coloro che non sopportavano il suo regime tirannico e dove avrebbero potuto istituire le libertà democratiche da lui soppresse a Siracusa.
Lago di Cotilia.
L'espansione dei Pelasgi, avrebbe interessato poi la foce del Po, dove avrebbero fondato la città di Adria e avrebbero inoltre scavalcato l’Appennino e disceso la penisola italica sino al Lago di Cotilia, nell’antica Sabina.
Ubicazione di Castel Sant'Angelo.
Ai margini settentrionali della verde piana di San Vittorino tra Cittaducale ed Antrodoco, nel comune di Castel Sant‘Angelo, in provincia di Rieti, si trovano i due laghetti di Cotilla e Canetra.
Qui si trova lo stabilimento delle Terme di Cotilia , che porta il nome dell'antica città sabino-romana già nota per le notevoli proprietà terapeutiche delle sue acque sulfuree e cara a Flavio Vespasiano ed a suo figlio Tito.

- In Sabina, i Pelasgi avrebbero stretto un’alleanza con gli Aborigeni, cioè le popolazioni autoctone (dal latino: Ab origines), per scacciare, vittoriosamente, la tribù ligure dei Siculi dal Lazio, in cui avevano probabilmente fondato Albalonga. Così tramanda Dionigi di Alicarnasso (Alicarnasso, 60 a.C. circa - 7 a.C.) a proposito del vaticinio dell'oracolo di Dodona rivolto ai Pelasgi: "Affrettatevi a raggiungere la Saturnia (le terme erano considerate appannaggio di Saturno, come si evince dal nome di Saturnia stessa, località termale della Toscana nei pressi del confine con il Lazio e l'Umbria n.d.r.) terra dei Siculi, Cotila, città degli Aborigeni, là dove ondeggia un'isola; fondetevi con quei popoli, ed inviate a Febo la decima e le teste al Cronide, ed al padre inviate un uomo." I Pelasgi, accolto l'ordine di navigare alla volta dell'Italia e di raggiungere Cotila, nel Lazio vetus, allestirono numerose navi e si diressero come prima tappa verso le coste meridionali dell'Italia, che erano le più prossime. Lo schema narrativo seguito da Dionigi è identico a quello che Varrone aveva prodotto prima di lui, per cui ci si aspetterebbe che i Pelasgi, obbedendo all'oracolo che ingiungeva loro di recarsi a Cotila, andassero a sbarcare sulle coste del mar Tirreno, dove lo stesso Varrone li aveva fatti approdare. "Ma", scrive invece Dionigi, "per il vento di Mezzogiorno, e per la imperizia dei luoghi, andarono a finire in una delle bocche del fiume Po, chiamata Spina. Qui lasciarono le navi, fondarono la città di Spina, si diressero verso l'interno e, superati gli Appennini, vennero a trovarsi sul versante occidentale della penisola italica nella regione dove a quel tempo abitavano gli Umbri" Ai Siculi, dice poi Dionigi, i Pelasgi tolsero Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio ed altre città che in proseguo di tempo furono occupate dagli Etruschi, secondo lui autoctoni, che coabitavano la regione. Dionigi di Alicarnasso afferma che i primi aggressori dei Siculi, quando si trovavano ancora in Italia peninsulare furono i cosiddetti Aborigini, che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi.

Europa intorno al 1.300 a.C. con i territori dei Liguri, Celti, Italici (Umbri,
Opici, Ausoni, Japigi, Enotri, liguri Siculi e Sicani), Germani, Slavi
(Venedi-Sclavini e Orientali) Traci, Frigi, Illiri (fra cui i Venetici), Greci
(Elleni e Pelasgi), Baltici, Sciti (Indo-Iraniani, Sarmati e Alani) e Anatolici.

- Intorno al 1.270 a.C. una tribù di Liguri, chiamata Siculi, poiché guidata dal loro re Siculo, (o Siculos o Sikelòs) figlio di Italo o Italòs, approdano in Sicilia, che da allora, da lui prende il nome (Sikelia in greco: la Sicilia).
Carta dell'antica Sicilia con gli
stanziamenti di Siculi, Sicani ed Elimi.
Dalle popolazioni Liguri che rimasero sul continente, il cui re (capotribù) era stato Italo, l'Italia prenderà il suo nome. Tucidide scrive che dopo l'arrivo in Trinacria dei Sicani (che da loro aveva preso il nome di Sicania), i Siculi, spinti dagli Opici sul continente, sarebbero giunti in Sicilia numerosi, e avrebbero vinto e respinto i Sicani nella parte meridionale e occidentale dell'isola, impadronendosi della parte migliore della Sicilia per 300 anni prima della colonizzazione greca e dopo la caduta di Ilio (Troia) giunsero gli Elimi. 
Dionigi di Alicarnasso riferisce anche la testimonianza di Ellanico di Mitilene, il quale non soltanto localizza l'avvenimento del passaggio dei Siculi a tre generazioni (una generazione sono trent'anni) prima della guerra troiana (e precisamente nel 26º anno del sacerdozio di Alcione ad Argo) ma indica anche che due flotte passarono in Sicilia a cinque anni di distanza l'una dall'altra; la prima, lui asserisce, degli Elimi cacciati dagli Enotri, la seconda degli Ausoni respinti dagli Iapigi; loro re sarebbe stato Sikelòs che avrebbe dato il nome all'isola. Allo stesso modo Filisto daterebbe l'immigrazione sicula nell'ottantesimo anno prima della guerra di Troia, (quindi in torno al 1.270 a.C.) ma identificherebbe i Siculi non in Ausoni od Elimi ma in Liguri, il cui capo Sikelòs era figlio di Italos, cacciati dagli Umbri e dai Pelasgi.
« I Siculi passarono in Sicilia dall'Italia - dove vivevano - per evitare l'urto con gli Opici. Una tradizione verosimile dice che, aspettato il momento buono, passarono su zattere mentre il vento spirava da terra, ma questa non sarà forse stata proprio l'unica loro maniera di approdo. Esistono ancor oggi in Italia dei Siculi; anzi la regione fu così chiamata, "Italia", da Italo, uno dei Siculi che aveva questo nome. Giunti in Sicilia con numeroso esercito e vinti in battaglia i Sicani, li scacciarono verso la parte meridionale ed occidentale dell'Isola. E da essi il nome di Sicania si mutò in quello di Sicilia. Passato lo stretto, tennero e occuparono la parte migliore del paese, per circa trecento anni fino alla venuta degli Elleni in Sicilia; e ancor oggi occupano la regione centrale e settentrionale dell'isola. » (Tucidide, Storie IV,2 - Traduzione di Sgroi)
« La regione, che ora chiamasi Italia, anticamente tennero gli Enotri; un certo tempo il loro re era Italo, e allora mutarono il loro nome in Itali; succedendo ad Italo Morgete, furono detti Morgeti; dopo venne un Siculo, che divise le genti, che furono quindi Siculi e Morgeti; e Itali furono quelli che erano Enotri » (Antioco di Siracusa, in Dionigi di Alicarnasso 1, 12)

- Comunemente si pensa che gli antichi Liguri si stanziarono sul litorale mediterraneo dal Rodano all'Arno (così ci tramanda lo storico greco Polibio) spingendo la propria presenza fino alla costa mediterranea spagnola ad occidente ed al Tevere verso Sud-Est, colonizzando le principali isole come la Corsica, la Sardegna e la Sicilia. Poteva essere una popolazione di circa 200.000 persone, suddivise in varie tribù. Di loro ci restano numerosi reperti ceramici. 
Successivamente le migrazioni celtiche (che parlavano il leponzio o lepontico), come pure le colonizzazioni di fenici, greci e cartaginesi, hanno rimpiazzato i Liguri a partire dal IV secolo a.C.
(fonte:http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_Liguria)

Carta con la ricostruzione
della foce dell'antico Tartesso
(il Guadalquivir) e del lago
Ligur che formava, oggi
insabbiato ma in cui sono
rimasti i toponimi di
Isla Mayor e Isla Minima.
Dal 1.200 a.C. - Secondo il prof. Adolf Schulten, la nascita di Tartesso come capitale del territorio tartessico trae le sue origini dall'arrivo di popolazioni provenienti dall'Asia Minore, culturalmente più avanzata rispetto ai pre-tartessici, che dopo il loro arrivo nella costa andalusa diventarono la classe dirigente. Queste popolazioni furono i Tirseni, o Tirreni, o Raseni o Turuscha (forse uno dei Popoli del Mare, sicuramente gli antenati degli Etruschi italici, che chiamavano se stessi "Rasenna"), che arrivarono intorno al 1.200 a.C. dall'Asia Minore e fondarono una loro colonia a Tartesso, su un'isola tra la foce del Guadalquivir e l'oceano.
Alfabeto sillabico
di Tartesso.
Da questa colonia iniziò l'invasione e la sottomissione della zona. Gli invasori fondarono una fiorente oligarchia commerciale e militare la cui capitale fu Tartesso stessa. Nel regno furono stabiliti due principali centri: la foce del Guadalquivir, dove c'era Tartesso, e quella dell'antica Olba, (nei pressi dell'attuale Huelva, sul fiume Tinto, nel nord ovest del territorio di Tartesso, vicino all'attuale frontiera col Portogallo), che doveva fungere da deposito di Tartesso dei minerali di rame nel bacino di Rio Tinto.
Da notare che la famiglia toponimica paleoligure di Alba, connessa a idronimi paleoeuropei in Alb- e, apofonicamente, al tipo Olb- (anche Orb- in area ligure), non rappresenta una formazione diretta sull’aggettivo indoeuropeo albho- ‘bianco’, ma, insieme a questo, continua un radicale pre-protoindoeuropeo Hal-bh- ‘acqua’ attestato anche dal sumerico halbia, (accadico halpium, ‘sorgente, massa d’acqua, cavità d’acqua’) ed è ulteriormente analizzabile come ampliamento della radice protoindoeuropea Hal- ‘nutrire’. Simile diffusione ha la base indoeuropea HwaH-r- ‘acqua’.
Riproduzione della stele di Bensafrim
in Portogallo, che si ritiene scritta
in l'alfabeto tartessico.
Quando la realtà di Tartesso produsse un volume di traffico qualitativamente superiore i Liguri, ormai sudditi dei Tirreni, centralizzarono nella bassa Andalusia il commercio di minerali, che divenne il centro di ridistribuzione (soprattutto per lo stagno, ingrediente base dei famosi bronzi tartessici). I liguri di Tartesso devevano essere metalmeccanici qualificati: sia come membri illustri autorizzati a stabilirsi nella metropoli che rendendo i propri servizi ai lavori forzati, come schiavi, nel settore metallurgico e minerario.
Carta con in rosso l'antica Bensafrim,
situata vicino all'attuale Algarve e
al Monte Bravura, in Portogallo.
La denominazione di un lago e di una città Ligustica non dovette sembrare poi così strano ai Romani che quando giunsero in quei luoghi furono in grado di identificare i tratti culturali e un linguaggio residuo comune a quello ligure italico, che conoscevano in prima persona.
Nel lago ligure erano ancorate le navi e raccolti i beni dalla lega commerciale ligustica: prima come area di  scarico dei minerali e delle merci introdotte dalle basi liguri, poi con lo spazio a disposizione per l'elaborazione metallurgica e lo stesso habitat e insediamento per una vasta popolazione dai costumi tipicamente liguri. Una fonte storica che allude a Tartesso è "Storie", di Erodoto, del V sec. a.C., che indica come  re di Tartesso, Argantonio (che significa uomo d'argento), uomo di grande ricchezza, saggezza e generosità che regnò 100 anni. .
Nel più tardo IV secolo, lo scrittore romano Rufo Festo Avieno, pubblicò la sua "Ora Maritima" (Le coste marittime), dedicata a Sesto Claudio Petronio Probiano, incompleta e lacunosa ma interessante poiché è ricavata dalla fonte più antica su Tartesso.
Pettorale in oro del tesoro tartessico
rinvenuto a El Carambolo, nei pressi
di Siviglia da http://es.wikipedia.org
/wiki/Tartessos
Anche se l'opera è stata scritta intorno al 400 d.C., il poeta utilizza come principale fonte un periplo, cioè una memoria scritta, del viaggio di un marinaio massaliota (di Marsiglia) che aveva percorso la costa atlantica europea dalle coste dell'attuale Cornovaglia, in Inghilterra, fino a Massalia (Marsiglia) nel VI secolo a.C., descrivendo così per primo i confini fisici, visti dall'Atlantico, della Gallia e dell'Iberia, citando appunto il Lago Ligur e la città di Tartesso, che si trovava tra le braccia della foce del fiume Tartesso, che corrisponde all'attuale Guadalquivir, fino ad attraversare le colonne d'Ercole: l'"Euthymenes". Rufo Avieno, forse, utilizzò anche qualche altra fonte fenicia ancora più antica.
Nell'ambito del mito di Eracle, o Ercole, la sua decima fatica fu proprio quella di rubare le mandrie di Gerione. Gerione è una figura della mitologia greca, figlio di Crisaore e di Calliroe, e fratello di Echidna. Era un fortissimo gigante con tre teste, tre busti e due sole braccia, proprietario d'un regno esteso fino ai confini della mitica Tartesso, oltre le colonne d'Ercole.
Carta dell'estuario del Guadalquivir,
dove un paese si chiama ancora
"Isola Maggiore".
Possedeva dei bellissimi buoi e Euristeo ordinò a Eracle di catturarlo. Eracle partì e vide la barca dorata di Helios e se la fece dare in prestito. L'eroe, giunse sui monti Calpe ed Abila, creduti i limiti estremi del mondo, oltre i quali era vietato il passaggio a tutti i mortali; separò il monte ivi presente in due parti (le due colonne d'Ercole) e incise la scritta nec plus ultra. Proseguì e arrivò nell'isola di Gerione e uccidendo il mostro si prese i buoi. Era, arrabbiata mandò uno sciame di mosche a uccidere i buoi ma Eracle affrontò pure loro e vinse. (Per visualizzare il post "Heracle o Ercole nella Riviera dei Fiori", clicca QUI). Diversi autori mitologici, come Omero, e anche Aristofane definiscono "Tartarico", "Styx, Stige", "Aorn, Averno", "Lago Morto" o "Lago infernale" lo stesso lago Ligure.
Sicuramente per i greci l'occidente, indicando la direzione del tramonto, indicava la morte stessa. Le imprese di Ercole nell'Esperide, l'occidente, potevano essere considerate esperienze nell'aldilà; inoltre, essendo il lago oltre le colonne d'Ercole, era al di là del conosciuto.
Stemma dell'Andalusia, con Ercole fra
due leoni e due colonne.
Queste visioni potrebbero anche riferirsi ad un territorio soffocante, sia in termini di eccezionale inquinamento atmosferico che delle acque. Le descrizioni della mitologia sembrano adattarsi  ad una zona acquitrinosa nei pressi di molteplici e sviluppate attività  metallurgiche e traffici marittimo-fluviale di minerali brillanti (cassiterite e minerali di rame, piombo e argento); dato che la foce del Guadalquivir in quel tempo non aveva depositi minerari, è chiaro che questi residui erano dovuti alle attività metallurgiche. Nelle vicinanze di questa zona vi sarebbero stati maleodoranti sgocciolamenti di acque con zolfo ed enormi colonne di fumo dai  forni, ciò che giustifica la designazione di "inferno" o "lago morto". Strabone nel capitolo 2 di Geografia Turdetania, riferendosi ai forni per l'argento scrive: "sono alti, in modo che i vapori pesanti sprigionati dalla massa di minerale si volatilizzino".
La metallurgia dell'Argento era la più proficua ed importante per l'impero di Tartesso, ed è quindi plausibile che questi forni fossero situati sulle colline ed esposti al favore dei venti. Naturalmente le industrie metallurgiche saranno state sostenute con la forza bruta di schiavi, in condizioni di scarsa sicurezza, che rischiavano facilmente e rapidamente le loro vite. Una volta che il metallo aveva beneficiato della fusione dai minerali, si passava al lavoro dell'orafo, che è la fusione di metalli puri in semplici pezzi di stampaggio, e ciò poteva essere effettuato in luoghi urbani, in casa e all'aperto. Tartesso, centrale metallurgica, era la mecca dei metalli dell'antichità.
Rappresentazione su pietra di nave da
guerra biremi Fenicia nella guerra
Assira del 700-692 a.C. Ninive,
Palazzo Sud-Ovest, Camera VII. Fonte:
http://es.wikipedia.org/wiki/Tartessos 
Dopo la fondazione di Tartesso capitale di una monarchia Tirrena e di dominio della sua area di influenza, ci sarà l'assoggettamento ai Fenici di Tiro circa nel 1.000 a.C., che prenderanno il sopravvento sulla monarchia del regno, schiavizzando i tartessici e gran parte della popolazione ligure. Per prima cosa i Fenici di Tiro, ottennero il consenso a stabilirsi nella costa a sud della foce dell'antico Betis o Tartesso, il Guadalquivir e fondarono Gadir, l'attuale Cadiz, poi si impadronirono del regno. Tuttavia, il nuovo potere sarà in grado di mantenere l'intesa commerciale con tutti gli altri Liguri, accentuando ed energizzando il ruolo centrale di ridistribuzione del Guadalquivir inferiore nello scambio di merci e metalli tra Europa settentrionale e meridionale (Periodo Geometrico).
Stella di Tartesso. Fonte:
http://es.wikipedia.
org/wiki/Tartessos
La forza lavoro della popolazione ligure servile, insieme con la superiorità tecnologica degli invasori, diventa il motore economico che rappresenta un aumento della produzione di metallo e fabbricazione di oggetti metallici, e giustifica la rapida espansione di Tartesso in quasi due secoli.
Il fattore del commercio fenicio con l'Oriente (Periodo Oriantalizzante) rafforza ulteriormente il potere monopolistico della monarchia Tartessica.
Sebbene non tutti i liguri-tartéssici siano rimasti schiavi per sempre, continuarono per molto tempo a essere casta minoritaria produttrice, mentre l'oligarchia militare e la sua casta commerciale furono Tirrene.
Antica imbarcazione Fenicia
con raffigurazione di chimera.
Probabilmente il traffico commerciale della  Tartesso fenicia, attraverso i Liguri, fu tenuto nascosto dai coloni fenici che si stabilirono a Cadice, e costituì un ben custodito segreto nella stessa monarchia sorvegliata dai Tartessici, che  addestrava i suoi piloti nautici in una "Accademia Navale" speciale.
C'è anche la possibilità che i Fenici che arrivarono a Cadice, strinsero un patto di reciproca non ingerenza del commercio in generale: il commercio al di là delle colonne d'Ercole era vietato ai Fenici e d'altra parte era vietato ai Tartessici il commercio nell'area mediterranea. Da questo momento i Fenici gestiranno i commerci mediterranei, atlantici ed africani.

Carta geografica tratta dalla rivista "Ecco i FENICI" supplemento a "La
Stampa" n.48 del 3 marzo 1988, p.64.  Sono evidenziati i prodotti
commercializzati nell'antichità aventi come protagonisti i mercanti e gli
esploratori fenici quando avevano ormai conquistato anche i mercati oltre
le colonne d'Ercole, fino ad allora, appannaggio dei proto-Liguri.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Carta geografica tratta dalla rivista "Ecco i Fenici", supplemento a
"La Stampa" n.48 del 3 marzo 1988, p.64.  Sono evidenziate le principali vie
del commercio nell'antichità storica aventi come protagonisti i mercanti e gli
esploratori fenici quando avevano ormai conquistato i mercati oltre le
colonne d'Ercole, appannaggio dei Liguri. Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

Per il post "Antichi Liguri: dai Primordi ai Megaliti", clicca QUI
Per il post "Tartesso: prima i Liguri, poi Fenici e Greci", clicca QUI
Per il post "Il Lago Ligure nella mitica Tartesso", clicca QUI
Per il post "Ercole e altri miti a Tartesso", clicca QUI
Per il post "Tartesso: l'Economia", clicca QUI
Per i post "Antichi Liguri da Tartesso ai Celti" clicca QUI

Stele antropomorfa
Ligure ritrovata
 in Germania (Baviera)
Dal 900 p.e.v. (a.C.) - Con l'Età del Ferro (che in Liguria si sviluppò fra il 900 ed il 180 a.C.) fecero la loro comparsa le statue-stele (o stele antropomorfe): pietre fitte con incisioni, tipiche di Luni e della Lunigiana. Attualmente, l'unico esempio di tale manufatto ritrovato nel Finalese è rappresentato dalla rudimentale stele antropomorfa di Pila delle Penne.

- Fin dall'antichità nel settentrione italico erano insediate popolazioni di etnia Ligure. Da http://menhir-ticino.webs.com/alfabetoliticolugano.htm: la lingua Lepontica è conosciuta solo attraverso alcune iscrizioni che furono redatte nell'alfabeto di Lugano, e il termine convenzionalmente usato, "Lepontico", è stato esteso ad indicare la lingua e l'alfabeto delle iscrizioni preromane ritrovate in un raggio di circa 50 Km. intorno a Lugano (nello svizzero Canton Ticino e in Lombardia). Sulla base di questi segni alfabetici, gli studiosi sanno che i Leponzi parlavano un una lingua molto antica, risalente al proto-celtico-italico. La scrittura lepontica poteva essere scritta sia da sinistra a destra, sia da destra a sinistra e le più antiche iscrizioni lepontiche vengono considerate scritte in una lingua non-celtica affine al ligure (Joshua Whatmough in "The Prae-Italic dialects of Italy" del 1937 e Vittore Pisani in "Lingue preromane d'Italia: origini e fortune" del 1978).
Alfabeto di
Lugano o
Lepontico.
Recenti studi effettuati sui caratteri definiti come "alfabeto di Lugano", hanno confermato tali opinioni in merito alle origini della lingua scritta lepontica, interpretando alcune parole e frasi con la fonetica del linguaggio dei ligürü ( liguri), coloro che si esprimevano in una lingua comune risalente al proto-iberico centrale, e sia la fonetica che la scrittura erano espresse dall'alfabeto tartessico, che ha influenzato il landocchiano (la langue d'oc n.d.r.), il catalano, il provenzale e il proto-celtico dell'Italia settentrionale, espandedosi poi, sempre secondo alcuni studiosi, fino ad influenzare il lepontico, il runico, il retico e il nord-etrusco. Oggigiorno gli abitanti di Sanremo, in Liguria, sono genericamente chiamati sanremesi, ma coloro che sono nativi della città da generazioni sono qui definiti sanremaschi, viene quindi usato il caratteristico suffisso ligure -asco, largamente presente in Lombardia, per cui, ad esempio, gli abitanti di Bergamo non sono i bergamesi ma i bergamaschi, così come i comaschi ecc. Naturalmente troviamo lo stesso suffisso in innumerevoli nomi di località (Giubilasco ecc.). Questa è una prova del retaggio ligure insito ancora oggi nel linguaggio lombardo. Pare infatti che in tempi storici, tutta l'Italia fosse percorsa da genti Liguri.
Catone il Censore (234 a.C. circa - 149 a.C.), nel libro perduto delle "Origines", annoverava tra le maggiori tribù euganee (gli Euganei erano di stirpe Ligure Ingauna) i Triumplini della Val Trompia ed i Camuni della Val Camonica. Appartengono alla stessa stirpe degli Euganei, secondo Plinio il Vecchio anche gli Stoni in Trentino. Lo storico greco Strabone (58 a.C.-25 d.C. circa) descrive i Reti associandoli ai Vindelici, collocandoli tra Elvezi e Boi sopra "Verona e Como"; precisa inoltre che alla "stirpe retica" appartengono sia i Leponzi (che anticamente, prima di celtizzarsi, parlavano un linguaggio ligure) che i Camuni (che Catone il Censore aveva definito di stirpe euganea): « Vi sono poi, di seguito, le parti dei monti rivolte verso oriente e quelle che declinano a sud: le occupano i Reti e i Vindelici, confinanti con gli Elvezi e i Boi: infatti si affacciano sulle loro pianure. Dunque i Reti si estendono sulla parte dell'Italia che sta sopra Verona e Como; e il vino retico, che ha fama di non essere inferiore a quelli rinomati nelle terre italiche, nasce sulle falde dei loro monti. Il loro territorio si estende fino alle terre attraverso le quali scorre il Reno; a questa stirpe appartengono anche i Leponzi e i Camunni. I Vindelici ed i Norici invece occupano la maggior parte dei territori esterni alla regione montuosa, insieme ai Breuni e ai Genauni; essi appartengono però agli Illiri. Tutti questi effettuavano usualmente scorrerie nelle parti confinanti con l'Italia, così come verso gli Elvezi, i Sequani, i Boi e i Germani. Erano considerati più bellicosi dei Vindelici i Licatti, i Clautenati, e i Vennoni; dei Reti i Rucanti e i Cotuanti. » Strabone, Geografia, IV, 6.8

Dal 500 p.e.v. (a.C.) - Dal V° secolo a.C. Tartesso, citata più volte nelle scritture ebraiche ('Tarshish', conosciuta anche come 'Tarsis' o 'Tarsisch') , non esisterà più.
L'esistenza di Tartesso è testimoniata nei tesi biblici:
- "I re di Tarsis e delle isole deve offrire i loro doni ..." - Bibbia, Libro Secondo dei Salmi, 72,10.
- "Tutti i calici di re Salomone erano d'oro (...) Non c'era argento, nessun caso ha fatto nulla di tutto questo nei giorni di Salomone, quando il re aveva in mare le navi di Tarsis con Hiram e ogni tre anni venivano le navi di Tarsis portando oro, argento, avorio, scimmie e pavoni." E segue: "Hiram, re di Tiro (969-936 a.C.) di potenza fenicia, successore di Sidone. Questo re aveva stabilito accordi con il re Davide, durante la costruzione del Palazzo Reale e il Tempio di Gerusalemme, e poi con Salomone." - Bibbia, I Re, 10, 21-22.
- "Perché gli dèi delle nazioni sono vane: un albero del bosco, il lavoro delle mani del maestro con l'ascia lo interruppe con argento e oro impreziosisce, provenienti da Tarsis laminato argento, oro di Ofir e maestro lavorazione mani orafo, di blu e porpora e di scarlatto è il suo vestito, tutti sono il lavoro degli artigiani. Con il martello e chiodi che tengono in modo che non si muova. Sono come spaventapasseri nei campi, che non parlano. Bisogna portarli, perché non possono camminare. Non abbiate paura di loro, perché non fanno nulla di buono o cattivo." - Bibbia, in Geremia, (nato nel 645 a.C.) 10, 3.
- "(Descrizione di Tiro e di ricchezza). Tarsis commerciava con te in abbondanza tutti i tipi di prodotti: argento, ferro, stagno e piombo per la vostra merce (...) Le navi di Tarsis erano le tue carovane che portano merci. Così si diventa ricchi e ricchi nel cuore dei mari." - Bibbia, Ezechiele, (inizio sec. VI a.C.) 27, 12.
- "Giona si levò per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore, scese a Giaffa, dove trovò una nave che doveva andare a Tarsis. Ha pagato il prezzo della corsa e scese in essa per andare con loro in Tarsis dal Signore." - Bibbia, Giona, (IV sec. a.C.) 1, 3.
Quello che sappiamo è che popolazioni Liguri si spostarono dal sud dell'Iberia a nord est, scacciando i Sicani dallo Jùcar; proseguirono a nord est fino alla foce dell'Ebro lasciando i territori conquistati agli Iberici. Alcune tribù si mischiarono con gli Iberici, (originando così gli Iberoligi), ed altre si unirono alle popolazioni celtiche, diventando Celto-Liguri; altre, rimasero ostinatamente Liguri, il popolo del Cigno, e sono giunte fino ai nostri giorni, guarda caso, in Liguria. Per il post "Celti: storia e cultura" clicca QUI, per "Occitani: Storia e Cultura", clicca QUI.      

Liguri - Carta geografica della diversificazione, in Europa e Anatolia,
delle genti Celtiche e della loro fusione con genti già stanziate in quei territori:
Celtiberi, CeltoLiguri o CeltoLigi. Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Disegno di Michelangelo "La Caduta di
Fetonte" con sopra Zeus, al centro
Fetonte e i cavalli e sotto Eridano
sdraiato, le Elidi e Cycnus.
IL MITO dei LIGURI, l’antico popolo del CIGNO
Fetonte è una figura della mitologia greca. Secondo la maggior parte degli autori egli era figlio di Elio, dio del Sole, e della ninfa Climene. Solo Esiodo ne fa un figlio di Cefalo ed Eos.
Secondo il mito, Fetonte, per far vedere ad Epafo che Elio era veramente suo padre, lo pregò di lasciargli guidare il carro del Sole; ma, a causa della sua inesperienza, ne perse il controllo, i cavalli si imbizzarrirono e corsero all'impazzata per la volta celeste: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo che divenne la Via Lattea (questo è uno dei miti che spiegano l'origine della Via Lattea), quindi scesero troppo vicino alla terra, devastando la Libia che divenne un deserto. Gli abitanti della terra chiesero aiuto a Zeus che intervenne per salvare la terra e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde alle foci del fiume Eridano, il fiume che divideva il mondo conosciuto con l'Iperboreo, a Nord (secondo alcuni autori antichi da identificare con il Rodano, secondo altri con il Po). Il Po era chiamato dai Greci Ἠριδανός, Eridanós (da cui il latino Eridanus e l'italiano letterario Eridano). Questo nome in origine indicava un fiume mitico che sfociava nell'Oceano e solo in seguito venne identificato con il Po. Eridanós contiene l'antichissima radice (*RDN) comune ad altri fiumi europei (Rodano, Reno, Danubio). Presso i Liguri era detto Bodinkòs, da una radice indoeuropea BHEDH che indica "profondità", la stessa da cui derivano i termini italiani "botola" e "fossa, fossato". Il nome latino Padus - da cui l'aggettivo "padano" - deriverebbe secondo l'opinione più diffusa dalla stessa radice di Bodinkòs; secondo un'altra versione deriverebbe dalla parola celtoligure pades indicante una resina prodotta da una qualità di pini selvatici particolarmente abbondante presso le sue sorgenti. Il nome italiano "Po" deriva appunto dalla contrazione di Padus (Padus>Pàus>Pàu>Pò); in diverse lingue europee, soprattutto slave (ceco, slovacco, polacco, sloveno, serbo, croato) ma anche in rumeno il fiume è ancora oggi chiamato Pad. Da notare poi che Eridano è anche il nome di una costellazione, un fiume celeste!
Per "Stelle e Costellazioni visibili nel nostro Cielo" clicca QUI.
Fetonte (Statua Romana)
Tornando al nostro Fetonte, qualche tempo dopo, quando gli Argonauti risalirono il fiume, trovarono il suo corpo che ancora bruciava ed emanava nuvole di vapore dall'odore nauseabondo che soffocavano e uccidevano gli uccelli. Le sue sorelle, le Eliadi, addolorate, piansero abbondanti lacrime con viso afflitto e vennero trasformate dagli dèi in pioppi biancheggianti (che abbondano lungo il Po). Le loro lacrime divennero ambra (per "Ambra, pietra di Energia solare" clicca QUI). Cicno, parente e amico di Fetonte, che piangeva con le fanciulle, fu trasformato da Zeus in un cigno che, secondo la leggenda, canta soavemente quando sta per morire. Secondo il mito riportato da Esiodo, Cicno (Cycnus), figlio di Stenelo, era re della Liguria e parente di Fetonte, nonché suo migliore amico. Giovane in possesso di una voce melodiosa, amava cantare e comporre musica. Nel regno gli successe il figlio bambino, Cupavone. E' curiosa la teoria che ci descrive ben altro Fetonte nel Manoscritto Anonimo del 1700 in "Sanremo: Favolose Origini e Favolosi Tesori" (per visionarlo clicca QUI).
Afferma Pausania : «Il cigno è un uccello dalla fama di musico; si dice infatti che un musico di nome Cicno sia stato re dei Liguri abitanti al di là del Po oltre il territorio dei Celti e che, dopo la sua morte, sia stato trasformato in quell'uccello per volontà di Apollo.». (Cigno in greco è kyknus e in latino cycnus). Secondo Servio, il cigno, una volta morto, venne collocato da Apollo tra le stelle (costellazione del Cigno). Per "Stelle e Costellazioni visibili nel nostro Cielo" clicca QUI. Il greco Pausania ci ricorda che Cicno, mitico re dei Liguri, signoreggiava le terre bagnate dall’Eridano (nome antico del nostro Po, che le commedie della politica italiana hanno invece proclamato fiume celtico per eccellenza). L’embrione del mito di Cicno può farsi risalire al sommo Esiodo, che con Omero fu il padre della poesia greca, anche se tale versione non è a noi pervenuta: certo è che si risale sino alla cultura orale che precede la cultura greca classica e in cui sono celati i misteri dell’antico mondo preellenico. Cicno, figlio di Stenelo (o, talora, Stenele sarebbe il nome della madre), era il re dei Liguri, dotato di una voce melodiosa ed abile nel suonare: “Cicnum Ligurum, qui in Celtica prope Heridanum sunt, regem musicae clarissimum fuisse memorant” (Pausania, Att., 30). Cicno (o Cidno), valorosissimo guerriero, sarebbe stato il fondatore di Brescia; ancora all’epoca dei Romani Catullo nominava la rocca bresciana “Cycnea Specula”. Fra gli altri, ricordano Cicno sia Virgilio nel canto X dell’Eneide:
Non ego te Ligurum dux fortissime bello
Transierim Cycne.
sia Ovidio nelle Metamorfosi (II, 367), libro che tratta appunto delle trasformazioni da uomo ad animale o pianta o altro ancora:
…Proles Steneleja Cycnus
Nam Ligurum populos et magnas rexerat urbes.
La leggenda cita anche Cicno, figlio di Poseidone (dio del mare) e re di Colone (città della Troade) alleato dei Troiani contro i Greci (questo Cicno, invulnerabile al ferro ed al fuoco, affrontò i Greci appena sbarcati sulla spiaggia di Troia e ne uccise mille: riuscirà ad ucciderlo il solito Achille, non battendolo con le armi ma strozzandolo con le stringhe del suo stesso elmo. Dopo aver tagliato la testa all’avversario, il crudele Achille non riuscì però a spogliarlo dell’armatura, poiché il padre Poseidone trasformò Cicno in cigno).
Sì, perché molte sono le connessioni, di pace e di guerra, fra i Liguri ed i Troiani. Tarconte e Tirreno, figli di Telefo, re della Misia (o Lidia), nell’odierna Turchia e confinante con la Troade, portarono parte del loro popolo in Italia, per sfuggire una carestia. Da Tarconte deriva il nome di Tarquinia e Tirreni furono chiamati i figli di quel popolo: Tirreni era l’altro nome con cui erano conosciuti gli Etruschi. Tarconte nell’Eneide combatte al fianco di Enea contro Turno; mentre in una versione riportata da Licofrone, i fratelli Tarconte e Tirreno, giunti in Italia presso Agilla (l'odierna Cerveteri) combattono e vincono i Liguri dopo aspra lotta. Ed Antenore, anch’egli in fuga da Troia, giunse in Veneto, abitato da stirpi liguri: e qui fondò Padova e diede inizio all’allevamento dei cavalli, arte nobilissima.
Bronzetto ligure
del VI - V sec.
a.C. di guerriero
in assalto con
copricapo a forma
di testa di cigno.
Parigi, museo del
Louvre.
Bronzetto ligure
del VI - V sec.
a.C. di figura
 maschile con
copricapo a forma
di testa di cigno.
Parigi, museo del
Louvre.
Sempre nella mitologia greca, i due figli di Poseidone, i fratelli giganti chiamati Albione (poi identificato con l'Inghilterra o Albis Intemelia, Ventimiglia) e Dercino (o Bercino o Ligure), combatterono l'eroe mitologico greco Ercole nella Ligustica, quando l'eroe tornava a Creta. Per il post che riguarda la via Eraclea nella Liguria intemelia, clicca QUI. Si può intravvedere nella saga irlandese "Leabhar Ghabhala" la migrazione di popolazioni Liguri dalla penisola ligustica (Iberia) e il loro insediamento nelle Isole Britanniche (Irlanda inclusa) e nel nord Atlantico. Le prime notizie scritte sui Liguri, tramandate da autori greci e romani, risalgono al VI secolo A.C. Esse ci parlano delle origini e del territorio occupato da questo antico popolo, dei suoi usi e dei suoi miti, tra i quali assume particolare importanza quello di Cicno, “re dei Liguri”, legato alla tragica vicenda di Fetonte. Cicno, figlio di Stenelo, re dei Liguri, alla notizia della tragica morte di Fetonte, suo parente ed amico, si dispera a tal punto che gli dei, impietositi, decidono di trasformarlo in cigno, uccello che secondo gli antichi era assai sensibile alla musica e che, in punto di morte, emetteva un bellissimo canto. Le sorelle di Fetonte, le Elidi, vengono invece trasformate in pioppi e il loro pianto senza fine nella preziosissima ambra. Cicno è rappresentato anche in ambiente etrusco e umbro in vari bronzetti votivi raffiguranti un guerriero che indossa un copricapo a forma di testa di cigno. Nei culti della tarda preistoria e della protostoria, in molte aree europee, il cigno e altri animali acquatici sono spesso presenti in motivi decorativi di corredi funebri e sono legati ai riti dei defunti e al loro viaggio verso l’aldilà.

LE FONTI STORICHE SUI LIGURI
Cosa si sa della gente Ligure? In primo luogo, vi è una conoscenza ampia su coloro che potremmo chiamare “Liguri storici”, contemporanei del popolo romano che si erano stabiliti nella zona del sud della Francia e nell'Italia nord-occidentale (Liguria), il cui linguaggio è stato decodificato, ma di cui non possediamo tracce scritte anche se le loro abitudini erano ben note e sono state tramandate da autori latini. In secondo luogo ci sarebbero i “protostorici Liguri” (compresi quelli rimasti nei territori di Tartesso) che per analogia possono esprimere tratti culturali simili a quelli sopra e che sono stati riscontrati in gran parte delle coste dell'Europa occidentale, in accordo alle testimonianze dirette degli storici antichi. In ogni caso sembra chiaro che tutte queste genti Liguri abbiano mantenuto relazioni commerciali e mantenuto un'unità culturale grazie anche all'appartenenza delle loro lingue ad una radice comune.
Carta dei sette fiumi importanti per la storia dei Liguri, che
appartenevano alle loro aree di influenza: Guadalquivir
(Tartesso o Betis) , Jùcar (Sicano), Ebro, Rodano,
Var (Varo), Magra e Arno.

La civiltà pre-tartessica sarebbe stata costituita dal substrato culturale di diversi popoli (liguri, iberici e coloni orientali arrivati da Creta  nel  3.000 a.C.), ma presumibilmente era ligure (come indica il toponimo Lago Ligur, il Lagus Ligustinus per i Romani) il substrato predominante nella zona prima della fondazione della capitale tirrenica Tartesso.
Dal bacino del fiume Guadalquivir pare che siano migrati gruppi di Liguri, prima stanziati nell'enclave di Tartesso, pressati da sud e da ovest, per gettarsi sui Sicani, situati sul fiume Sicano (lo Jùcar dei contemporanei), vedi la cartina sopra. L'espulsione dei Sicani è attestata in termini chiarissimi da Tucidide (460 a.C. circa - dopo il 404 a.C., o secondo altri, dopo il 399 a.C., N.d.R.) e da altri scrittori, che affermano decisamente la presenza dei Liguri, se non nell'interno, certamente sulle coste orientali della Spagna meridionale in età antichissima, presenza che alcuni fanno risalire addirittura al XX secolo a. C., ma non certamente più tardi del XVI secolo a.C.. Luigi Schiaparelli (storico, paleografo e diplomatista italiano; Cerrione, 2 agosto 1871 - Firenze, 26 gennaio 1934) nel suo “Le stirpi ibero-liguri nell'Occidente e nell'Italia antica” (Torino, 1880) http://www.cairomontenotte.com/biblioteca/schiaparelli/
schiaparelli.html scrive, da: http://www.cairomontenotte.com/biblioteca/schiaparelli/schia204.html: "Sciano da Chio (Scimno di Chio, citato anche come Sciano di Chio; fl.= floruit, cioè aveva 40 anni, nel 185 a.C. circa - ..., N.d.R.), ritenuto autore di una descrizione della Terra, e prima di lui Timeo (Timeo di Tauromenio; Tauromenium o Taormina, 350 a.C. circa - Siracusa, 260 a.C. circa, N.d.R.), scrisse che la colonia greca di Emporiae (ora Ampurias, nel comune di L'Escala, in Costa Brava, poco a sud dell'attuale confine fra Spagna e Francia, N.d.R.) era stata fondata nel paese dei Liguri da coloni massilioti (di Marsiglia, N.d.R.), il che lascia credere che, nei tempi immediatamente successivi alla vittoria sui Sicani, i Liguri siano avanzati dal fiume Sicano verso Nord lungo la costa e che successivamente lasciarono una parte dell'Hiberia agli Iberi o Iberoligi, coi quali coesistevano da lungo tempo. Lagneau (Gustave Lagneau, medico ed antropologo; Parigi, 18 agosto 1827 - Parigi, 25 agosto 1896, N.d.R.), autore di una memoria speciale sui Liguri, propende a trovarne non solo nell'interno della Gallia sulla Loira o Ligeris, da cui crede abbiano derivato il nome, ma su tutta la costa atlantica, da Bayonne al mare del Nord e perfino nelle isole Sorlinghe (le isole Scilly, N.d.R.), e non mancano certamente nella Gallia antica nomi di luoghi analoghi ad altri della Liguria e della Spagna. Vi sono poi analogie innegabili in alcune caratteristiche fisiche e morali dei Siluri di Tacito (dal latino Silures, antica popolazione della Britannia meridionale, secondo Tacito lì emigrata dall’Hiberia, N.d.R.), dei Gallesi e Gaeli di Scozia e d'Irlanda, dei Loegrini [gli abitanti di Logres (anche Logris o Loegria), il nome del regno di re Artù nella Materia di Britannia (con materia di Bretagna, la cui definizione corrente e maggiormente diffusa è quella di ciclo bretone, o ciclo arturiano, in virtù del suo eponimo, s'indica l'insieme delle leggende sui celti e la storia mitologica delle isole britanniche e della Bretagna, in particolar modo quelle riguardanti re Artù e i suoi cavalieri della Tavola Rotonda). Deriva da Lloegyr, il nome gallese per la Gran Bretagna che corrispondeva grosso modo all'odierna Inghilterra. In un senso stretto, la parola Inghilterra non potrebbe essere usata per riferirsi agli eventi arturiani dato che questa deriva da "Angle-land", parola emersa dopo le invasioni anglosassoni. Secondo Goffredo di Monmouth, il regno prese il nome dal leggendario re Locrino, il più vecchio dei figli di Bruto di Troia. Nella sua "Historia Regum Britanniae", Goffredo di Monmouth utilizza la parola "Loegria" per descrivere una provincia che conteneva gran parte dell'Inghilterra, ad eccezione della Cornovaglia. Nelle leggende arturiane, "logres" era un codice cavalleresco di Camelot, N.d.R.e dei Basso-Bretoni nell'antica Armorica, con la descrizione degli antichi Liguri. Gli antichi accennano all'origine iberica dei Siluri ed alla possibile estensione delle genti iberiche fino alla Bretagna, il che troverebbe qualche argomento generico in appoggio nella somiglianza dei caratteri esteriori fisici di qualche frazione della popolazione di alcune regioni di quel paese. Alcuni archeologi e storici come Mullenhof (Karl Victor Müllenhoff, storico germanista; Marne 1818 - Berlino 1884, N.d.R.), Camilo Jullian e D'Arbois (Henri d'Arbois de Jubainville, docente e celtista francese; Nancy, 1827 - Parigi, 1910, N.d.R.) designano curioso come nelle aree occupate dai predecessori Liguri e poi occupate dai Celti, come Britannia, Gallia e Spagna, i tratti celtici si siano dimostrati più persistenti.".

Antica imbarcazione Greca.
- I primi scrittori che fecero menzione dei Liguri furono i Greci, i quali ne ebbero vaghe notizie dai Fenici (o Cananei), che fino al secolo VIII a. C. navigavano, quasi esclusivamente per ragioni di commercio, nel bacino occidentale del Mediterraneo, mentre nel Tirreno prevalevano gli Etruschi, fatta eccezione per Cuma, la sola colonia greca in quel tratto di mare che portasse un nome ellenico fin dal secolo XI. Tucidide (460 a.C. circa - dopo il 404 a.C., o secondo altri, dopo il 399 a.C., N.d.R.) e altri scrittori affermano in modo deciso la presenza dei Liguri, se non nell'interno, certamente sulle coste orientali della Spagna meridionale in età antichissima, presenza che alcuni fanno risalire addirittura al XX secolo a.C., ma non certamente più tardi del XVI secolo a.C.. Tucidide riferisce inoltre come i Sicani si sarebbero stabiliti in Sicilia scacciati dai Liguri dal loro territorio originario presso il fiume Sicano (l'attuale Xùcar, Jùcar in castigliano, a sud di Valencia, vedi la mappa dei 7 fiumi importanti per la storia dei Liguri antichi qui sopra, N.d.R.) nella penisola iberica, prima della guerra di Troia (che iniziò presumibilmente nel 1190 a.C.. Il loro arrivo in Italia dopo essere stati scacciati dall'Iberia, si dovrebbero collocare fra i secoli XX e XV prima dell'era volgare (a.C.), benché si ignorino completamente i principali particolari cronologici e storici del loro esodo dalle sponde dello Jùcar all'isola di Sicilia, N.d.R.).

- Eschilo (di Eleusi; Eleusi, 525 a.C. - Gela, 456 a.C., N.d.R.), nel suo "Prometeo", colloca i Liguri nell'attuale Provenza-ponente ligure nel secolo XIV a.C., e loda come intrepido il loro esercito, che Ercole riuscì a superare soltanto con l'aiuto degli dei. Del fatto che i Liguri fossero stanziati in varie parti dell'Italia centrale e specialmente nel Lazio, abbondano argomenti sicuri e sappiamo che ne furono espulsi con le armi dagli Italo-Greci (Aborigeni e Pelasgi) verso il secolo XIV a.C.

Nel XIV e XIII a.C. - Una frazione di Liguri si era stabilita nel Lazio, proprio nell'area dove verrà poi fondata Roma. Presumibilmente queste popolazioni avevano avuto il controllo della Toscana, dell'Umbria (loro erano Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio) e delle Marche, in cui avevano fondato Numana e Ancona. Questi Liguri, guidati dal loro capo Sikelòs, figlio di Italo, erano denominati Siculi, e potrebbe trattarsi dei Šekeleš, uno dei popoli del Mare.
Nave Shardana, (probabilmente
i Sardi), uno dei Popoli del Mare.
"Dionigi di Alicarnasso (60 a.C. circa - 7 a.C., N.d.R.), nella sua storia delle antichità romane, parla dei Siculi come della prima popolazione che abitò la zona di Albalonga, dove poi sorse Roma. Il loro nuovo confine territoriale meridionale, diventò così il fiume Salso (fiume della Sicilia orientale che scorre interamente nel territorio della Provincia di Enna), dove rimase fino all'arrivo dei Greci in Sicilia (vedi https://culturaprogress.blogspot.com/2015/06/le-citta-fondate-dai-greci-antichi-in.html). Siculo (o Sikelòs o Siculos, N.d.R.), è il presunto Re siculo che avrebbe dato il nome al popolo Siculo e alla Sicilia (Sikelia). Nella tradizione storiografica del popolo siciliano, si narra di un re Siculo che dalla penisola italiana passò in Sicilia, anche se non è chiara la sua stirpe e quale fosse la popolazione che guidava: c'è chi accenna agli Ausoni e chi ai Liguri. Antioco Senofaneo (Antioco di Siracusa o Senofaneo; 460 a.C. - …, N.d.R.) scrive di un Siculo che sembra comparire dal nulla per dividere i Siculi dai Morgeti e dagli Itali-Enotri. Dei Siculi si fa menzione a proposito dell'arrivo dei Pelasgi in Italia, al cui proposito tramanda Dionigi di Alicarnasso (Dionisio o Dionigi d'Alicarnasso; 60 a.C. circa - 7 a.C., N.d.R.): "Affrettatevi a raggiungere la Saturnia terra dei Siculi, Cotila, città degli Aborigeni, là dove ondeggia un'isola; fondetevi con quei popoli, ed inviate a Febo la decima e le teste al Cronide, ed al padre inviate un uomo". I Pelasgi, accolto l'ordine di navigare alla volta dell'Italia e di raggiungere Cotila nel Lazio vetus, allestirono numerose navi e si diressero come prima tappa verso le coste meridionali dell'Italia, che erano le più prossime. Lo schema narrativo seguito da Dionigi è identico a quello che Varrone (Marco Terenzio Varrone; Rieti, 116 a.C. - Roma, 27 a.C., N.d.R.) aveva prodotto prima di lui, per cui ci si aspetterebbe che i Pelasgi, obbedendo all'oracolo che ingiungeva loro di recarsi a Cotila, andassero a sbarcare sulle coste del mar Tirreno dove lo stesso Varrone li aveva fatti approdare. “Ma”, dice Dionigi, “per il vento di Mezzogiorno, e per la imperizia dei luoghi, andarono a finire in una delle bocche del fiume Po, chiamata Spina. Qui lasciarono le navi, fondarono la città di Spina, si diressero verso l'interno e, superati gli Appennini, vennero a trovarsi sul versante occidentale della penisola italica nella regione dove a quel tempo abitavano gli Umbri.”. Ai Siculi, dice poi Dionigi, i Pelasgi tolsero Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio ed altre città che in proseguo di tempo furono occupate dagli Etruschi autoctoni che coabitavano la regione. In Dionigi di Alicarnasso leggiamo che i primi aggressori dei Siculi (o Liguri-Siculi), quando essi ancora si trovavano in Italia peninsulare furono i cosiddetti Aborigini (forse gli Umbri, N.d.R.) che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lesbio (Mitilene, 490 a.C. circa - Atene, 405 a.C. circa, N.d.R.) in Dionigi, stanchi delle aggressioni o non potendo reggere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero emigrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia.
Il fiume Liri, che nasce in Abruzzo e
dopo avere attraversato il Lazio,
confluendo col fiume Rapido dà
origine al fiume Garigliano, fra Lazio
e Campania.
Secondo Dionigi di Alicarnasso la città di Roma avrebbe avuto come primi abitanti indigeni dei barbari siculi successivamente espulsi dagli Aborigeni con l'aiuto dei Pelasgi. I Siculi, respinti, si sarebbero rifugiati in Sicilia e gli Aborigeni si sarebbero estesi sino al fiume Liris assumendo il nome di Latini, dal re che li avrebbe domati al tempo della guerra troiana (presumibilmente avvenuta dal 1190 a.C., N.d.R.). Altre località che poi divennero pelasgiche, come Antemnae, Fescennium, Falerii, Pisae, Saturnia ecc. sarebbero state in origine fondate ed abitate dai Siculi mentre un quartiere di Tivoli, che ancor oggi conserva il nome di Siciliano, avrebbe avuto al tempo di Dionigi ancora abitanti Siculi. Varrone (Marco Terenzio Varrone; Rieti, 116 a.C. - Roma, 27 a.C., N.d.R.) nel suo "De lingua latina", considerava i Siculi originari di Roma perché numerose erano le somiglianze tra la lingua loro e quella latina. Servio (Servio Mario Onorato, noto anche come Deuteroservio o Servio Danielino; fl. Floruit, aveva 40 anni alla fine del IV secolo; ... – ..., N.d.R.) considerava addirittura i Siculi giunti dalla Sicilia a Roma, e cioè proprio al contrario di tutte le altre testimonianze. Invece Festo (Sesto Pompeo Festo; Narbona, II secolo d.C. - ..., N.d.R.) fa i Siculi respinti dai Sacrani o Sabini insieme con i Liguri. Infine Solino (Gaio Giulio Solino; 210 circa - dopo il 258?, N.d.R.) li considera tra le più antiche popolazioni dell'Italia con gli Aborigeni gli Aurunci i Pelasgi e gli Arcadi. Anche i Sicani sono ricordati nel Lazio (l'antico Latium vetusN.d.R.), in "Solinosia" di Plinio il Vecchio (Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio; Como, 23 - Stabiae, 25 agosto 79, N.d.R.), dove i Sicani sono considerati popoli della lega del Monte Albano. Questi stessi Sicani sono ricordati nell'Eneide di Virgilio come alleati dei Rutuli, degli Aurunci, dei Sacrani; Aulo Gellio e Macrobio li ricordano con gli Aurunci ed i Pelasgi. Evidentemente si tratta non di Sicani ma di Siculi, che nella tradizione poetica latina sono stati confusi tra loro. L'altra tradizione di Filisto di Siracusa (Siracusa, 430 a.C. - 356 a.C., N.d.R.) sarebbe quella che fa dei Siculi una popolazione ligure, ed i liguri sarebbero stati coloro che, secondo Tucidide e Dionigi di Alicarnasso, avrebbero spinto le popolazioni sicane dall'Iberia, costringendole ad occupare la Sicilia. Questa tradizione dell'origine ligure dei Siculi si ritrova in Stefano di Bisanzio (autore del VI sec., N.d.R.) in cui si cita un passo di Ellenico (Ellanico di Mitilene o di Lesbo o Lesbio; Mitilene, 490 a.C. circa - Atene, 405 a.C. circa, N.d.R.), e anche in Silio Italico (25 circa - Campania, 101, N.d.R.), i Siculi sono considerati Liguri. In seguito a queste affermazioni si è rilevata dagli storici moderni la presenza di nomi di città come Erice, Segesta ed Entella in Liguria. « Anche il nome di Alba s'incontra spesso in Liguria. Un luogo di questo nome trovasi a occidente del Rodano nel territorio degli Elvii. A settentrione di Massalia (Marsiglia) conosciamo una popolazione montana ligure degli "Aλβιείς", Albienses o Albiei, e nel suo territorio Alba Augusta. Seguono in direzione orientale sulle coste italiane Albium Intemelium, Albium Ingaunum, Alba Decitia. Non lontana dal versante settentrionale degli Appennini trovasi sul Tanaro Alba Pompeia. Da ciò viene il quesito, se non sia la stessa voce ligure contenuta nel nome di Alba Longa. Al tentativo di spiegare questo nome con l'aggettivo latino "albus" contraddice non solo che da qualche attributo non siasi giammai formato un nome di luogo, ma anche la considerazione che l'aspetto di Alba Longa debba destare una impressione opposta all'aggettivo latino. Questo luogo è collocato sopra materiali vulcanici dei monti Albani, e il colore fondamentale della regione è grigio-scuro. » (W. Helbig, "Die Italiker in Der Poebene", 1879. Wolfgang Helbig, archeologo tedesco; Dresda 2 febbraio 1839 - Roma 6 ottobre 1915, N.d.R.). G. Sergi (Giuseppe Sergi; Torino, 4 novembre 1946, N.d.R.) facendo riferimento alle affermazioni di Helbig sulla strana natura del nome "Alba Longa", conviene che «il colore dei monti Albani è scuro, bluastro quasi, e va al nero in alcune ore del giorno». Quindi Alba Longa non poteva apparire molto "alba". Ma oltre Alba Longa si hanno nomi derivati da Alba come i monti Albani, il lago Albano, e il più importante di tutti il nome di Albula, già nome del Tevere. Sergi si chiede quindi se Alba Longa sia stato un abitato Ligure. Nel Lazio non c'è mai stata una tradizione che ricordi i Liguri, ma invece i Siculi, come leggiamo in Dionigi di Alicarnasso: « La città che dominò in terra e per tutto il mare, e che ora abitano i Romani, secondo quanto viene ricordato, dicesi tenessero gli antichissimi barbari Siculi, stirpe indigena; questi occuparono molte altre regioni d'Italia, e lasciarono sino ai nostri giorni documenti non pochi nè oscuri, e fra questi alcuni nomi detti Siculi, indicanti le loro antiche abitazioni » (Dionigi di Alicarnasso I, 9; II, 1; traduzione di Sergi). Ed esaminando i caratteri fisici dei Liguri e dei Siculi, Sergi avrebbe stabilito la loro identità: anche da ricordi archeologici risulta esservi stato un simile comune costume funerario; e lo scheletro neolitico di Sgurgola presso Anagni era colorato in rosso come gli scheletri neolitici delle Arene Candide (e dei Balzi Rossi, N.d.R.), siti archeologici della Liguria. Liguri e Siculi sarebbero stati quindi due rami dello stesso ceppo umano, solo che, avendo differenti abitati, sarebbero stati erroneamente considerati come due razze diverse. La teoria è quindi che quando si parla di questi antichissimi barbari Siculi, primi abitatori della città che poi fu Roma, si tratti di una popolazione ligure-sicula condotta da Siculo. Troviamo effettivamente riscontro in Filisto di Siracusa che, riportato da Dionigi di Alicarnasso, sostiene che la gente, la quale passò dall'Italia in Sicilia, non era di Siculi, ma di Liguri condotti dal loro re Siculo, da cui è derivato il nome della popolazione. Servio (Servio Mario Onorato, noto anche come Deuteroservio o Servio Danielino; fl. floruit, aveva 40 anni alla fine del IV secolo, N.d.R.) scrive che la città da lui denominata "Laurolavinia", composizione delle due, Laurentum e Lavinium, che si fusero, sorse dove già abitava Siculos. Antioco di Siracusa (Antioco di Siracusa o Senofaneo; 460 a.C. - ..., N.d.R.) ci dice che: « La regione, che ora chiamasi Italia, anticamente tennero gli Enotri; un certo tempo il loro re era Italo, e allora mutarono il loro nome in Itali; succedendo ad Italo Morgete, furono detti Morgeti; dopo venne un Siculo, che divise le genti, che furono quindi Siculi e Morgeti; e Itali furono quelli che erano Enotri » (in Dionigi di Alicarnasso, 1,12). Da questo resoconto possiamo prendere coscienza che in quei tempi, le popolazioni prendevano il nome dal loro capo e non da origini etniche. Nel Lazio ed in altre regioni d'Italia, l'identità etnica dei Siculi con i Liguri è rivelata dai nomi dei luoghi, montifiumi, laghi, oltre che dalle forme nominali etniche dei rami differenti della stirpe. Le teorie che abbiamo visto sulle origini centro italiche prima, e liguri poi, si incontrano e si sposano perfettamente con questa teoria: Dionigi d'Alicarnasso, che aveva scritto come i Siculi fossero i più antichi abitanti della città che fu Roma e del territorio latino, narra che i primi ad aggredirli per occupare il loro abitato, con lunga guerra, furono i cosiddetti Aborigini (probabilmente gli Umbri, N.d.R.) che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lesbio in Dionigi, infine stanchi delle aggressioni o non potendo resistere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero migrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia, che da loro avrebbe preso il nome. Non tutti i Liguri-Siculi avrebbero seguito Siculo in Sicilia e sarebbe per questo motivo che si riscontrano tracce liguri-sicule in tante regioni italiane. La fondazione di Alba, secondo la tradizione che vuol essere storia, così è descritta da Dionigi di Alicarnasso: « Nel trentesimo anno dopo fondata Lavinio, Ascanio, figlio di Enea, fondò un'altra città; e dai Laurentini e da altri Latini e da quanti altri desideravano una sede migliore, trasportò gente nella città recentemente costrutta, cui aveva posto nome "Alba", la quale in lingua greca vuol dire λευκή ("bianca" in italiano), ma per distinguerla da altra città che aveva lo stesso nome, vi aggiunse una parola, che con la prima forma un insieme, "Alba Longa", cioè, Λευκή μακρά » (Dionigi di Alicarnasso, I, 66). Quale fosse quest'altra "Alba", e dove, Dionigi non lo dice, né adduce il motivo per il quale la nuova sia detta "Longa" (μακρά); inoltre il suffisso alb, in greco, significava camice, nulla a vedere quindi con "bianco". Livio (Tito Livio; Patavium, 59 a.C. - Patavium, 17 d.C., N.d.R.), invece, scrive: « is Ascanius, ubicumque et quacumque matre genitus - certe natum Aenea constat - abundante Lavini multitudine florentem iam, ut tum res erant, atque opulentam urbem matri seu novercae relinquit, novam ipse aliam sub Albano monte condidit, quae ab situ porrectae in dorso urbis Longa Alba appellata est » (Livio, I, 3). Traducendo sommariamente: "Questo Ascanio, di cui non si sa né dove né chi sia la madre, è il figlio di Enea, uno di Lavinium, fiorente congregazione che per lui fu matrigna, per cui fondò una prospera e ricca città ai piedi dei colli Albani, chiamata Alba Longa". Qui c'è da osservare che la città si fondava sub monte Albano, vuol dire che già questo monte aveva un nome, che potrebbe, secondo Sergi, essere un nome tipicamente ligure (e quindi siculo), in quanto non potrebbe significare bianco, come indicherebbe la lingua latina, per via della palese colorazione scura-bluastra tendente al nero dei monti Albani. Dionigi, che aveva preso la tradizione dagli autori della tradizione romana, traduce infatti Alba per Λευκή, Bianca. Sergi dopo aver esaminato il nome "Alba Longa", passa ad osservare i suoi derivati e si sofferma su "Albula", antico e primitivo nome del Tevere, come Livio, Plinio, Virgilio (Albula nomen) scrissero. Si conclude che il nome non può aver a che fare con la colorazione del fiume, in quanto Virgilio stesso chiama "flavus" (= giallo) il Tevere, poiché trasporta sabbia, poi ancora lo chiama "caeruleus" (=ceruleo) e anche Orazio lo chiama flavum (= giallo). Esiste un altro fiume Albula nel Piceno, ricordato da Plinio nell'enumerare abitati e fiumi della quinta regione italica, il Piceno; e nomina anche fra altre città "Numana", a Siculis condita. Ciò significa che la regione era occupata dai Siculi, i quali diedero i nomi dei fiumi e degli abitati secondo il loro linguaggio. Poi ancora abbiamo Albinia, nell'Argentario, territorio che fu in seguito etrusco, ancora una città Alba vicina al Fucino (in Abruzzo, rifondata da Roma come colonia di diritto latino nel nel 304/303 a.C., N.d.R.) e Alba in Piemonte, un monte Alburnus in Lucania, un fiume Alba in Sicilia, ricordato da Diodoro Siculo; e in Liguria Alba Pompeia, Alba Decitia, e Albium o Album o Alba Intemelium e Ingaunum, (Albenga da Albium Ingauna e Ventimiglia da Albium Intemelia); Albiei e Alba nella Provenza; Alba nella Betica in Spagna e Alba fiume a nord-est della Spagna. Ancor più sorprendente il ricordo di Strabone, che le Alpi prima avessero il nome di Albia, e Albius mons era detta la sommità delle Alpi ora Giulie. G. Sergi esamina attentamente i rapporti linguistici che potrebbero esserci fra i tratti linguistici siculi e quelli liguri, ma non solo. Inizia il suo studio ponendo lo sguardo su alcuni suffissi che egli ritiene caratterizzanti dei linguaggi liguri e siculi. Un suffisso caratteristico ligure accettato è quello delle parole terminanti in -sco, -asco, -esco, in nomi propri, dovuto alla scoperta di un'antica iscrizione latina dell'anno 117 a.C., dove trattasi di un giudizio in una controversia territoriale fra Genuenses e Langenses (i Viturii Langenses abitavano nell'alta Val Polcevera. La tavola bronzea di Polcevera, detta anche Sententia Minuciorum, è una lamina di bronzo sulla quale è incisa un'iscrizione in lingua latina che riporta una sentenza emessa dal Senato romano nel 117 a.C. Il reperto, di primaria importanza non solo per la storia locale, ma anche per la storia del diritto, l'epigrafia e la linguistica, è ora conservato nel Museo Civico di Archeologia Ligure di Pegli, N.d.R.). Qui s'incontrano i nomi di Novasca, Tulelasca, Veraglasca, Vineglasca. Inoltre nella tabula alimentaris riferibile alla disposizione di Traiano imperatore, per soccorrere di viveri fanciulli e fanciulle, si trovano altri nomi liguri con la stessa terminazione. Il Zanardello Tito (Tito Zanardelli; 1848-?, giornalista e anarchico italiano, N.d.R.), in alcune sue memorie, tentò di mostrare l'espansione dei nomi con tale suffisso ligure e anche di altri similmente liguri non soltanto in Italia, ma ancora nell'antica Gallia compreso il Belgio; e calcola seguendo il Flechia (Giovanni Flechia, glottologo, indologo e accademico italiano; Piverone, 6 novembre 1811 - Piverone, 3 luglio 1892, N.d.R.), che il numero dei nomi italiani col suffisso -sco in alta Italia supera 250; e simili forme si sono trovate nella valle della Magra, nella Garfagnana e altrove. Abbiamo nomi etnici Volsci, Osci o Opsci, poi Graviscae, città tenuta dagli Etruschi, Falisci, un popolo o una tribù Japuzkum o Iapuscum delle Tavole icuvine; e poi Vescellium in Arpinia, Pollusca nel Lazio, Trebula Mutuesca nell'Umbria, Fiscellus, monte ai confini dell'Umbria, ed altri altrove. Poi ancora abbiamo il nome di Etrusci e Tusci, che adoperarono i Romani e dopo gl'Italiani e altri.
Altri suffissi:
-la, -lla, -li, -lli, come in Atella, Abella, Sabelli, Trebula, Cursula;
-ia, -nia, -lia, come in Aricia, Medullia, Faleria, Narnia;
-ba, come in Alba, Norba;
-sa, -ssa, come in Alsa, Suasa, Suessa, Issa;
-ca, come in Benacus (Benaca), Numicus (Numica);
-na, come in Artena, Arna, Dertona, Suana;
-ma, come in Auxuma, Ruma, Axima, e forse anche Roma;
-ta, -sta, come in Asta, Segesta, Lista;
-i, come Corioli, Volci o Volsei."
A proposito della radice Alb è interessante ciò che scrive Francesco Perono Cacciafoco in: http://www.unior
.it/userfiles/workarea_477/LZ6%20Perono_pp102_128.pdf, che motiverebbe fra l'altro la successiva  fusione dei Liguri con le popolazioni Celtiche. "La famiglia toponimica paleoligure di Alba, connessa a idronimi paleoeuropei in Alb- e, apofonicamente, al tipo Olb- (anche Orb- in area ligure), non rappresenta una formazione diretta sull’aggettivo indoeuropeo albho- ‘bianco’, ma, insieme a questo, continua un radicale pre-protoindoeuropeo Hal-bh- ‘acqua’ attestato anche dal sumerico "halbia", (accadico halpium, ‘sorgente, massa d’acqua, cavità d’acqua’) ed è ulteriormente analizzabile come ampliamento della radice  protoindoeuropea Hal- ‘nutrire’. Simile diffusione ha la base indoeuropea HwaH-r- ‘acqua’. Alcuni toponimi e idronimi di area ligure (l’area linguistica e culturale di formazione di nomi quali Olbicella, appunto) e delineando l’esistenza di una “famiglia” di denominazioni di luoghi che ci piace definire (sulla base del radicale non solo indoeuropeo che è all’origine della loro formazione) “città d’acqua”. Esistono prove di elementi comuni, sia pure remoti (già dalla fase indoeuropea), in ambito culturale e linguistico, tra gli antichi Liguri e gli abitanti (ad essi contemporanei) dell’Europa occidentale storicamente noti, almeno in parte, come Celti. Una macroscopica similitudine toponimica riguarda la Britannia (forse solo quella meridionale, in origine). Si ritiene (e l’ipotesi è assai convincente)che Albiōn ,il nome di origine ancestrale della Britannia, sia connesso con le forme toponimiche liguri Albium e Album. La radice della denominazione è comune ed è, appunto, alb indoeuropeo albh. Da Albium ed Album derivano nella toponomastica ligure antica e “contemporanea” tra gli altri, l’omologo (omofono ed omografo rispetto alla seconda forma) Album, Album, Inganum, Album, Ingaunum, Albingaunum, ‘Albenga’, Albium Intemelia ‘Ventimiglia’, Albuca (nelle Gallie ed in Aquitania), Alba in provincia di Cuneo, Alba Heluorum in Provenza, Alba, attuale Arjona, in Spagna. Giacomo Devoto (glottologo, linguista e rettore italiano; Genova, 19 luglio 1897 - Firenze, 25 dicembre 1974, N.d.R.) segnala inoltre come di possibile ascendenza (o influenza nella formazione onomastica) ligure, il toponimo di Albona, città istriana che sorge a pochi chilometri di distanza dal mare. Tutte queste denominazioni sono riconducibili direttamente alla radice "alb" e a una forma simplex che è Album. Ma Album non è connesso primariamente (si appurerà in seguito come si tratti di uno spostamento di significato rispetto all’originale) al latino albus, ‘bianco’. Deriva, invece, dalla radice "albh" che è la base, ad esempio, dell’idronimo germanico Albis, il nome del fiume Elba. Tutti questi nomi indicano stanziamenti su canali, su fiumi o su mari, in pratica luoghi situati in prossimità dell’acqua (e anche idronimi, denominazioni, appunto, di referenti che coincidono con l’iconimo: corsi d’acqua). Quel che a noi interessa in questa sede è che come la radice "albh" viene a essere la base dell’idronimo Albis, nome di origine ancestrale (in quanto idronimo paleoeuropeo) del fiume Elba, così essa è la componente generativa di alcune delle numerosissime denominazioni (antiche e “contemporanee”) di Olbia, che denotano, come tutti i nomi formati dalla radice "albh", luoghi situati su canali, fiumi o mari. Olbia, la più antica colonia di Mileto, sul Mar Nero, ad esempio, ebbe come nome epicorico Olbia (senza varianti), derivato dalla radice "albh" con apofonia vocalica della [a] iniziale nel grado atimbro [o] (il radicale "olbh" è equivalente sul piano lessicale e derivato a livello morfofonologico dalla base "albh"). Olbia si ritrova, come toponimo, in Britannia, sulla destra del fiume Bug (in Ucraina), in Provenza, in Sardegna e altrove, a latitudini molto differenti, dunque in Licia e nell’Ellesponto; naturalmente, soprattutto nel caso delle colonie elleniche, è stata inevitabile una sovrapposizione motivazionale col beneaugurante aggettivo greco ólbios, (femminile olbía). Se si resta nell’ambito di denominazioni legate alla radice "albh" e al significato di‘acqua’, può essere interessante ricordare che Albula, fu l’antico nome del fiume TevereAlbiōn, il nome di origine ancestrale della Britannia, viene a denotare, dunque, la grande isola sul Canale della Manica, un locus, quindi, sull’acqua e circondato dall’acqua. La ricostruzione "albh" (con bh richiesta dal germanico b/in Albiz, ‘Elba’) non è tuttavia l’unica presa in considerazione nella glossografia. Giovanni Semerano (Giovanni Maria Semerano, bibliotecario, filologo e linguista italiano, studioso delle antiche lingue europee e mesopotamiche; Ostuni, 21 febbraio 1911 - Firenze, 20 luglio 2005, N.d.R.), tra gli altri sostenitori dell’origine della radice "alb" da una famiglia linguistica non indoeuropea (nella teoria dell’Autore questo è postulato per definizione, dato che viene rifiutata l’esistenza stessa dell’indoeuropeo), propone una derivazione dall’antichissima voce accadica "alpium" a sua volta dal sumerico "albia", ‘sorgente’,‘massa d'acqua’,‘cavità d'acqua’. Questa forma si sarebbe poi trasferita nel sistema toponimico delle lingue "indoeuropee", da un lato mantenendosi immutata nella radice "alb"."

Dal 1.300 a.C. - Tucidide riferisce come i Sicani si sarebbero stabiliti in Sicilia poichè scacciati dai Liguri dal loro territorio originario presso il fiume Sicano (l'attuale Xùcar, Jùcar in castigliano, a sud di Valencia, vedi la mappa dei 7 fiumi sopra) nella penisola iberica, prima della guerra di Troia. I Sicani, avrebbero addirittura preceduto in Trinacria i Ciclopi e i Lestrigoni e da più fonti risulta che i Sicani fossero in realtà Iberi stanziati presso il fiume Sikanos in Iberia (Stefano di Bisanzio ed Ecateo ricordavano anche una città iberica chiamata "Sikanè"), da dove i Liguri li avrebbero scacciati. Da loro l'isola, che prima si chiamava Trinacria, finì col prendere il nome di Sicania. Ai tempi di Tucidide (460 a.C. circa - dopo il 404 a.C., o secondo altri, dopo il 399 a.C.), i Sicani avrebbero abitato la parte occidentale della Sicilia. Dionigi di Alicarnasso, storico greco del I secolo a.C., nelle Antichità romane, parlando degli aborigeni italici, riporta l'opinione di alcuni secondo i quali essi sarebbero stati coloni dei Liguri e definisce questi ultimi "vicini degli Umbri", riportando che avrebbero abitato "molte parti dell'Italia e alcune parti della Gallia" ma che non si conoscesse il loro luogo di origine. D'altra parte "Aborigini" vennero definiti anche gli italici dell'Italia centrale che, grazie all'aiuto dei Pelasgi, scacciarono i Liguri che facevano capo a Siculo dal continente. Dionigi di Alicarnasso riferisce inoltre dei versi del "Trittolemo" di Sofocle, che enumera i Liguri lungo la costa tirrenica a nord dei Tirreni e ancora riprende la notizia di Tucidide, riferendo come i Sicani fossero una popolazione di origine iberica, scacciata dal loro originario territorio dai Liguri, mentre secondo Filisto da Siracusa, gli stessi Siculi sarebbero stati Liguri, cacciati dalla loro terra dagli Umbri e dai Pelasgi e passati in Sicilia sotto la guida di Siculo, diciotto anni prima della guerra di Troia, mentre Filisto di Siracusa data l'immigrazione sicula nell'ottantesimo anno prima della guerra di Troia. Infine Dionigi riferisce che i Liguri occupavano i passi delle Alpi e avrebbero combattuto contro Ercole (o contro Prometeo, secondo il "Prometeo liberato" di Eschilo). Nell'Eneide i Liguri figurano come una delle poche popolazioni che combattono al fianco di Enea nella guerra contro i Rutuli. Virgilio nomina anche due dei loro re, Cunaro e il giovane Cupavone, figlio e successore di Cicno, figura già nota nella mitologia greca. Per approfondire inoltre l'origine Ligure dei Siculi e altre notizie sui Sicani, dal libro "La Tirrenia antica", opera in due volumi scritta da Claudio De Palma del 1983 pubblicata da Sansoni Editore (volume primo, pagine 214-215): "i Pelasgi... un popolo che occupava in antico tutto il bacino dell'egeo e tutta la Grecia continentale compreso il Peloponneso e occupò in seguito vaste zone dell'Italia... nessuna altra stirpe pregreca viene descritta dagli storici antichi come colonizzatrice di estensioni così vaste, e l'opera di colonizzazione sembra partisse appunto dalle bocche del po, con Spina, e di qui si irradiarono per tutta la pianura padana fondandovi le dodici città ricordate da Diodoro Siculo (xiv, 113, 1), che secondo lo storico  preesistevano  all'occupazione da parte degli etruschi di almeno sette secoli". Spina era un'antica città situata nella bassura padana accanto alle sponde dell'Adriatico, la cui esistenza è attestata da varie fonti. Tra queste Dionisio di Alicarnasso (Ant. rom., I, 18, e 28, 3) secondo il quale schiere di Pelasgi, o per consiglio dell'oracolo di Dodona o per sottrarsi agli Elleni, passarono per mare in Italia, e presso il fiume Spinete (un ramo del Po, nei pressi dell'attuale Comacchio) fondarono un accampamento, che si trasformò nella florida città di Spina, che mandava doni votivi a Delfi; ai Pelasgi successero i barbari (cioè i Celti), poi i Romani. Spina, come riferiscono Strabone e Plinio, aveva un edificio per contenere doni votivi, nel santuario apollineo di Delfo. Era perciò considerata come città ellenica, e l'elemento ellenico dovette essere numeroso in Spina, specialmente quando nei primi tempi del secolo IV a. C. Dionisio il Grande, signore di Siracusa, fece sentire il suo potere alle foci del Po. Tale elemento ellenico si dovette distendere sull'elemento etrusco e sull'antico elemento etnico veneto o umbro; poi fu l'assoggettamento di Spina ai Galli (dall'inizio del sec. III a. C.). Ai tempi augustei Spina era ridotta a un semplice villaggio.

Nel 1.270 p.e.v. (a.C.) Popolazioni Liguri chiamate Siculi, poiché guidate dal re Siculo, figlio di Italo, approdano in Sicilia, che da allora prende il nome da loro. Dagli Itali, la popolazione di Liguri che rimasero sul continente il cui re era Italo, l'Italia prenderà il nome, esattamente durante le guerre sociali contro Roma del 91-88 a.C.. Filisto di Siracusa (Siracusa, 430 a.C. - 356 a.C.) data l'immigrazione sicula nell'ottantesimo anno prima della guerra di Troia, avvenuta presumibilmente dal 1.190 al 1.180 a.C., e identifica i Siculi con una popolazione di Liguri il cui capo Sikelòs era figlio di Italos, cacciati dal continente dagli Umbri che avevano chiamato in soccorso i Pelasgi, probabili antenati degli Etruschi.
Popoli antichi della Sicilia.
« I Siculi passarono in Sicilia dall'Italia - dove vivevano - per evitare l'urto con gli Opici. Una tradizione verosimile dice che, aspettato il momento buono, passarono su zattere mentre il vento spirava da terra, ma questa non sarà forse stata proprio l'unica loro maniera di approdo. Esistono ancor oggi in Italia dei Siculi; anzi la regione fu così chiamata, "Italia", da Italo, uno dei Siculi che aveva questo nome. Giunti in Sicilia con numeroso esercito e vinti in battaglia i Sicani, li scacciarono verso la parte meridionale ed occidentale dell'Isola. E da essi il nome di Sicania si mutò in quello di Sicilia. Passato lo stretto, tennero e occuparono la parte migliore del paese, per circa trecento anni fino alla venuta degli Elleni in Sicilia; e ancor oggi occupano la regione centrale e settentrionale dell'isola. » (Tucidide, Storie IV,2; traduzione di Sgroi). Gli Opici erano un antico popolo di ceppo latino falisco (o protolatino) stanziato nella Campania pre-romana, nella regione che da loro prese il nome di "Opicia". Probabilmente provenienti dalla Puglia e Lucania, si insediarono nell'area nel contesto del primo processo di indoeuropeizzazione dell'Italia peninsulare, quello che portò all'ingresso nella penisola dei Protolatini (II millennio a.C.) e comunque non dopo l'XI secolo a.C.. Gli Opici arrivarono in Campania dopo aver in un primo momento sospinto i Siculi verso la Sicilia e a loro volta essere stati poi premuti dagli Enotri. Nei primi secoli del I millennio a.C. furono sopraffatti e assimilati dall'irruzione nella loro area da diverse popolazioni: dapprima gli Etruschi (verosimilmente non indoeuropei) e successivamente nuovi nuclei indoeuropei, questa volta di ceppo osco-umbro: gli Osci, originatisi dai Sabini attraverso un rito di primavera sacra, una ricorrenza rituale di origine italica, praticata poi da diversi popoli dell'Italia antica, che comportava la deduzione di nuove colonie. Veniva celebrata in occasione di carestie e in momenti difficili, o per scongiurare un pericolo particolarmente grave. Un altro fattore importante era la pressione demografica, per cui tramite questo rituale si favorivano i processi migratori. Questo rituale era diffuso presso i Sabini e, sporadicamente, praticato anche dai Romani; traeva origine da una promessa al dio Mamerte (il dio Marte presso gli Osci) e consisteva nell'offrire, come sacrifici, tutti i primogeniti nati dal 1º marzo al 1º giugno (oppure, nel caso dei Sabini, quelli nati dal 1º marzo al 30 aprile) della seguente primavera. Gli animali venivano effettivamente sacrificati, mentre i bambini non venivano realmente immolati, crescevano piuttosto come sacrati (cioè protetti dagli dei) per poi, giunti all'età adulta, dover emigrare per fondare nuove comunità (colonie) altrove. In questa maniera nasceva un nuovo popolo. La migrazione era guidata secondo una procedura totemica: si interpretavano i movimenti ed il comportamento di un animale-guida, per trarne auspici e indicazioni sulla direzione del viaggio. Ogni tribù aveva un animale sacro agli dei; per i Sanniti era il toro, per gli Irpini il lupo, per i Piceni il picchio e così via.
Comunque gli Osci assorbirono anche il nome degli Opici, adattandolo alla lingua osca (probabilmente nella forma ops-ci) e lo reinterpretarono, sulla base del tema nominale osco ops- (cfr. latino ops, "risorsa"), come "popolo dei lavoratori", o forse anche "popolo degli adoratori della dea Ops". La fusione degli Opici latino-falisci, degli Etruschi pre-indoeuropei e degli Osci osco-umbri fu completa, tanto che il termine "opico" continuò ad essere utilizzato come sinonimo di "osco". « La regione, che ora chiamasi Italia, anticamente tennero gli Enotri; un certo tempo il loro re era Italo, e allora mutarono il loro nome in Itali; succedendo ad Italo Morgete, furono detti Morgeti; dopo venne un Siculo, che divise le genti, che furono quindi Siculi e Morgeti; e Itali furono quelli che erano Enotri » (Antioco di Siracusa, in Dionigi di Alicarnasso 1, 12). 
Šekeleš, un tempo anche scritto Sakalasa o, più correttamente, Shakalasha (Shklsh), uno dei Popoli del Mare, sono stati associati ai Siculi (quindi Liguri), popolazione che si stanziò nella tarda età del bronzo in Sicilia orientale scacciando verso occidente i Sicani.

- I territori in cui erano stanziati i Liguri coprivano una grande estensione geografica. La nazione ligure era  costituita da innumerevoli tribù e ancora nel IX secolo a.C. era, nell'opinione dei Greci, la vera  rappresentante dell'Occidente, come gli Sciti lo erano del Settentrione e gli Etiopi del Meridione mediterraneo, mentre all'inizio dell'era volgare (primi anni d.C.) era talmente decaduta sotto ogni aspetto che Strabone, nella sua geografia, non crede neppure valga la pena di occuparsene e se la sbriga con poche parole.

- Il poeta greco Esiodo (VIII secolo a.C. - VII secolo a.C.), nell'VIII/VII secolo a.C., fa per primo  menzione dei Liguri, e dà loro il nome di Libuas, che i più leggono Liguas e Ligoas, e li considera come la principale nazione dell'Occidente del Mediterraneo. La discussa versione di un frammento di Esiodo (fine VIII inizi VII secolo a.C.), riportato da Strabone in "Geografia", riferendosi ai più antichi abitanti continentali sul Mar Mediterraneo riporta: "...gli Etiopi e i Liguri e gli Sciti mungitori di cavalle".

- Nel 600 a.C. viene fondata Massalia, l'attuale Marsiglia. Nella particolareggiata leggenda di Massalia, si racconta come i primi coloni di Focea, Simos e Protis, provenienti da Efeso, incontrando il sovrano ligure  Nannu sarebbero stati invitati, in una lingua incomprensibile, a partecipare ad un banchetto al quale a loro insaputa la figlia di Nannu, Gyptis avrebbe scelto il suo sposo tra gli astanti. Gyptis espresse la sua preferenza per il greco Protis, generando la comunione tra i popoli. La terra su cui avrebbero edificato la loro città, infatti, sarebbe stata proprio Massalia. Questo episodio ci fa intendere che Massalia non può essere considerata una colonia esclusivamente greca, ma più probabilmente era luogo di un'intesa greco-ligure come accesso al Mediterraneo dei commerci continentali occidentali e viceversa (sale, metalli, ambra, vino, manufatti ecc.). Stefano di Bisanzio verificò alcuni lemmi, forme di citazioni, presi in considerazione da Ecateo di Mileto, nel VI sec. a.C., fra cui Massalia: città della Liguria nel paese dei Celti; Ampelòs: città ligure ma di ignota locazione; Monoìkos: Monaco, città "ligustica"; Elisyci: popolo che faceva parte dei liguri, la cui capitale era Narbona Ligustìne: città iberica vicino a Tartesso; Agàthe: città dei ligusti presso il lago "ligustio". Questo "lago lacustio" evoca il "lacusticus lacus" dell'area di Tartesso, quindi in Iberia, nei pressi dell'attuale Siviglia. Vi è una Agàthe anche nella Languedoc, nella zona della Camargue occidentale, ma si pensa che quella Agàthe fosse una città iberica presso Tartesso.

- Numerosi sono i miti e leggende associate a Tartesso, impero fondato da genti Liguri, come memorizzato dal toponimo Lago Ligur, oggi nome del distretto a sud-ovest di Siviglia in cui il lago si è interrato, ma di cui rimangono i toponimi di due località, Isla Mayor e Isla Minima.
Bacino dell'antico Lago Ligur, con
Isla Mayor e Isla Minima.
Le fonti letterarie antiche possono fornirci una visione realistica di quel paese, velato dalle nebbie del tempo. Anche se vi è un alfabeto e una scrittura tartessica,  non sono stati ancora decifrati, nonostante gli sforzi di molti studiosi; quindi abbiamo a che fare solo con quello che hanno scritto su Tartesso Greci, Fenici, Egizi, semiti e Romani. Il documento più antico su Tartesso è il poema "Ora Maritima" di Rufo Festo Avieno (Volsinii o Bolsena, fl.= floruit, aveva 40 anni nella seconda metà del IV secolo). Anche se è stato composto intorno all'anno 400 d.C., il poeta utilizza come principale fonte di ispirazione la memoria scritta del viaggio di un marinaio massaliota (di Marsiglia), l'"Euthymenes", scritto nel VI secolo a.C. e forse qualche fonte fenicia ancora più antica. Il documento cita la città di Tartesso che si trova tra le braccia della foce di un fiume che corrisponde all'attuale Guadalquivir. La lettura prosegue  affermando che Tartesso ha governato su una vasta regione che si estende dalle regioni orientali, menzionando in particolare la città di Herma e la foce di un fiume, che potrebbe essere il Segura o il Vinalopó fino alla foce del Guadiana, nella metà meridionale del Portogallo. Avieno nomina anche diversi popoli stanziati a Tartesso, come i Cilbicenos, Etmaneos e Ileates, oltre che gli abitanti del regno di Selbyssena. Tuttavia, altri autori ci danno un'immagine minore dell'impero tartessico. Ecateo di Mileto, alla fine del VI secolo a.C., nel suo Periegesís, separa le città dei domini di Tartesso da quelle che i Mastienos avrebbero occupato in gran parte dell'Andalusia orientale, menzionando come città dei Mastienos: Mainobora nei pressi dell'attuale fiume Velez, Sixo, l'attuale Almuñecar, o Sualis (Fuengirola). Ciò ridurrebbe l'ambito tartessico al sud-ovest della penisola. Ecateo menziona anche le città Tartessiche di Elibirge (si può pensare ad Andujar) o Ibila, probabilmente, entrambe situate nella valle del Guadalquivir. Erodoto di Heraclea, e nel V secolo a.C. nomina i tartessici congiunti ad altre popolazioni come Cineti, Gleti, Elbisini, Mastieni e Celciani, tutti situati sulle sponde delle Colonne d'Ercole.
Link sull'argomento:
- Erodoto (Alicarnasso, 484 a.C. - Thurii, 425 a.C.), nel V secolo a.C., elencando i popoli che presero parte alla spedizione di Serse contro i Greci durante le guerre persiane, enumera i Liguri insieme ai Paflagoni e ai Siri. Il contesto della citazione avviene quando le forze armate di terra e di mare di Serse si concentrano a Doriscos, alla foce del fiume Maritza, in prossimità dell'odierno confine tra Turchia e Grecia e qui l'esercito venne passato in rassegna da Serse stesso. Secondo Erodoto risultarono presenti un milione e settecentomila soldati. Da http://www.misteromania.it/erodoto/storieVII.html: Erodoto: Le Storie, libro VII - Serse e Leonida. La battaglia delle termopili. Prima parte. 72) I Paflagoni marciavano con elmi di vimini intrecciati sul capo, armati di piccoli scudi e lance non lunghe, inoltre di giavellotti e pugnali; ai piedi avevano calzari del loro paese alti fino a mezza gamba. I Liguri (o Ligyes o Ligi, n.d.r.), i Matieni, i Mariandini e i Siri viaggiavano con la medesima dotazione dei Paflagoni; questi Siri sono chiamati Cappadoci dai Persiani. Paflagoni e Matieni li comandava Doto figlio di Megasidro, Mariandini, Liguri e Siri Gobria, figlio di Dario e di Artistone. Vedi anche http://www.maat.it/livello2/termopili.html. Di nuovo Erodoto cita i Liguri come mercenari tra i componenti dell'esercito radunato dal tiranno Terillo di Imera (nel territorio dell'attuale Termini Imerese, in provincia di Palermo) e comandato dal cartaginese Amilcare, figlio di Annone, che fu sconfitto da Gelone di Siracusa e Terone di Agrigento. Amilcare Barca (Amilcare da "Melqart è misericordioso" e Barca da "Saetta"; 290 a.C. circa - Helike, 229 a.C.) è stato un generale e politico cartaginese. I suoi figli Annibale, Asdrubale e Magone mantennero il soprannome del padre sotto forma di patronimico: vennero chiamati infatti "Barcidi" e in seguito “Barca” finì per essere il cognome col quale la famiglia intera viene ricordata. Ma ecco come andarono i fatti. Alla morte di Dario gli successe il figlio Serse che governò i Persiani dal 486 al 465. Serse iniziò il suo regno con una spedizione contro l'Egitto che aveva tentato di recuperare la propria indipendenza. Domata la rivolta lasciò il governo egiziano in mano a suo fratello Achemene. Nel 482 Serse dovette affrontare una rivolta in Mesopotamia; riconquistò Babilonia e ne deportò la popolazione a Susa. Nel 480 ebbe finalmente tempo di occuparsi dei Greci. Serse aveva già predisposto la spedizione nei quattro anni precedenti, ora si trattava solo di dare il via all'operazione. Nel 480 a.C. l'esercito persiano si diresse verso la Grecia. A Siracusa, colonia spartana, regnava Gelone e questi propose di inviare: duecento triremi, duemila arcieri, duemila frombolieri, duemila cavalieri, rifornimenti di grano fino al termine della guerra, pose però la condizione di assumere il comando delle forze armate greche. Di fronte al rifiuto degli Spartani propose di assumere il comando della flotta. Ma questa volta furono gli Ateniesi ad opporsi. Non potevano accettare di essere sottomessi ai Siracusani. Gelone, che era così riuscito a non impegnarsi in un conflitto contro Serse, quando l'esercito persiano attraversò i Dardanelli, mandò a Delfi tre penteconteri a vedere come evolveva la situazione: in caso di vittoria dei Persiani dovevano essere presentati doni ed omaggi a Serse e in caso di vittoria dei Greci le navi dovevano rientrare a Siracusa. Il motivo del mancato intervento dei Siracusani fu dovuto in realtà alla difficile situazione della Sicilia dove si era concretizzata un'altra grave minaccia: Cartagine. Amilcare, uno dei capi dei Cartaginesi, aveva raccolto un'armata di trecentomila uomini costituita da Cartaginesi, Libici, Iberi, Liguri, Sardi e Corsi. Con queste forze era entrato in Sicilia e si apprestava a combattere i Greci. Secondo Diodoro Siculo esisteva anche un accordo tra Persiani e Cartaginesi per aggredire contemporaneamente i Greci dell'Occidente e dell'Oriente. Nel 480 avvenne la battaglia di Imera in cui Gelone riuscì a fermare l'avanzata di Amilcare. La concomitanza di Imera da una parte e delle Termopili e di Salamina dall'altra non sembra una pura coincidenza. Cartagine faceva largo uso di mercenari, e preferiva usare le sue ingenti ricchezze per pagarli piuttosto che rischiare in guerra la sua popolazione cittadina. Anche dal 264 a.C. al 146 a.C. Cartagine impiegò mercenari di ogni sorta, armamento e provenienza: furono celti, numidi, balearici, nuragici, siculi, liguri, etruschi, greci, corsi e iberici che combatterono nelle tre guerre puniche contro Roma.
Ricostruzione dell'antica foce del
Guadalquivir, l'antico Tartesso, col
Lago Ligur o Ligustino o Ligustico.
Sempre Erodoto nella metà del V sec. colloca i Liguri lungo la costa orientale dell'Iberia, definendoli "Ligues"; nel suo resoconto, nell'Iberia meridionale, non conosce che Cineti o Cinesi, creduti di origine africana e, sulla costa orientale, Iberi e Liguri (Ligues). Ecateo di Mileto (Mileto, 550 - 476 a.C.), geografo tenuto in grande considerazione dagli antichi ed anteriore a Erodoto, ricorda la città di Sicana nell'Iberia e, sulle sponde orientali dell'Iberia e su quelle meridionali della Gallia fino alla Tirrenia in Italia, non cita che Liguri, collocandoli sempre sulla costa, dove pone la Ligistica o Ligustica. Definisce inoltre Massalia città della Ligustica vicino alla Celtica, non nella Celtica, e Timeo di Tauromenio o di Taormina (Tauromenium, 350 a.C. circa - Siracusa, 260 a.C. circa) lo conferma con le stesse parole. Sofocle (drammaturgo greco antico figlio di Sofilo; Colono, 496 a.C. - Atene, 406 a.C.) nomina la Ligustica fra le contrade dell'Occidente visitate da Trittolemo (personaggio letterario narrato come figlio della dea Cerere, la divinità che dispensava il sapere dell'agricoltura), ed Euripide (drammaturgo greco antico; Salamina, 485 a.C. - Pella, 406 a.C.) dà a Circe l'appellativo di Ligustica. Antichi scrittori , tra cui Stefano di Bisanzio (VI sec. d.C.), ricordano una città Ligustica nel bacino del Tartesso (Betis o Guadalquivir), il quale secondo Rufo Festo Avieno, nella sua "Ora Maritima" (scritta sul resoconto di un marinaio massiliota del VI sec. a.C.), esce dal lago ligustico. Ed è proprio l'Ora Maritima di Avieno che ha spinto l'archeologo, storico e filologo tedesco Adolf Schulten (1870 - 1960) a ricercare e trovare le prove di una civiltà Tartessica sorta nel sito di una fiorente civiltà composta da proto-Liguri proprio nell'acquitrinoso Lago Ligur (Lagus Ligustinus per i Romani), collocato nel delta dell'antico Tartesso, il Guadalquivir.

Carta geografica ottenuta dal Periplo di Scilace, tratta da:
- Il Periplo di Scilace (Scilàce di Cariànda fu un antico navigatore, geografo e cartografo greco che visse tra il VI e il V secolo a.C., a cui i cartaginesi commissionarono alcune esplorazioni) è una descrizione delle coste del Mediterraneo e del Mar Nero redatta tra il VI e il V secolo a.C., che riporta la presenza dei Liguri mescolati agli Iberi tra i Pirenei e il fiume Rodano e dei "Liguri veri e propri" sulle coste tra il Rodano e il fiume Arno. Scilace di Cariandia non aveva trovato quindi, sulla costa da Emporiae al Rodano, che Liguri mescolati ad Iberi che coesistevano pacificamente come popoli della stessa stirpe, ma a est del Rodano fino alla Tirrenia non aveva visto che Liguri schietti. Affermava infine che Massalia (l'attuale Marsiglia) era stata fondata nella Ligustica e che i Celti non avessero ancora sedi sulla costa.

L'Ecumene di Erodoto, da: https://digilander.libero.it/
Nell'ecumene di Erodoto, redatto tra il 440 - 425 a.C., troviamo i Liguri dalla foce dello Jùcar, in Iberia, fino alla pianura padana. Tra il V ed il IV secolo a.C. furono frequenti i contatti commerciali con Etruschi, Cartaginesi, Campani e principalmente con i Greci Ateniesi e Massalioti, ma nessuno di questi popoli subentrò mai ai Liguri. Genova, abitata dai Liguri Genuati, era considerata dai Greci, dato il suo forte carattere commerciale, "l'emporio dei Liguri": legname per la costruzione navale, bestiame, pelli, miele, tessuti erano alcuni dei prodotti Liguri di scambio commerciale. A Genova il nucleo urbano del Castello iniziò, per i fiorenti commerci, ad ampliarsi verso l'odierna Prè (la zona dei prati) e verso il Rivo Torbido. Contattarono quindi anche le due popolazioni nordiche scese al sud, Umbri e Latini, che avevano originato la potenza romana. 

- Nel IV e III secolo a.C.
 i Liguri erano ancora prevalenti in tutta la Gallia meridionale. Aristotele (Stagira 384 o 383 a.C. - Calcide, 322 a.C.) pone i Liguri tra gli Iberi e i Tirreni, apportando anche alcuni particolari sui primi.

- Eratostene, che riunì nella sua geografia le principali notizie conosciute nel suo secolo (III a.C.), nell'accennare alle tre grandi penisole del Mediterraneo, dopo l'ellenica e l'italica nomina come terza la ligustica che diceva estendersi fino alle colonne d'Ercole, osservando anche che il mare ad occidente della Gallia fosse chiamato ligustico per il fatto che le sponde meridionali della Gallia stessa erano anticamente occupate dai Liguri, indicati generalmente come i primi abitanti storici e popolo prevalente in quella regione prima dei Celti: la penisola iberica era chiamata "Ligustiké", mentre quella italiana era chiamata "Italiké", e già i primi greci consideravano la Liguria quel territorio che andava dall'Etruria fino all'Oceanooltre le Colonne d'Ercole.

Fino al IV secolo a.C. i Liguri Friniati o Friniates erano insediati nell'area corrispondente all'Appennino reggiano, modenese e parte del pistoiese. Insieme ai Liguri Apuani, insediati in Lunigiana e Garfagnana, appartenevano alla famiglia etno-linguistica dei liguri orientali. Anticamente il loro areale comprendeva anche gran parte dell'alta pianura reggiana e modenese, ma vennero sospinti nelle montagne dalla grande invasione gallica del IV secolo a.C., che vide l'insediamento dei Galli Boi, la popolazione gallica più numerosa e potente nel Nord italia con cui poi si allearono, nella fascia pedemontana e nell'alta pianura reggiana e modenese.


Elmo Ligure.
Nel III secolo a.C. i Liguri si scontrano con l'espansionismo dei Romani, uno scontro  lungo e sanguinoso. Le ostilità furono aperte nel 238 a.C. da una coalizione di Liguri e di Galli Boi, ma i due popoli si trovarono ben presto in disaccordo e la campagna militare si arrestò con lo sciogliersi dell'alleanza. Durante la seconda guerra punica i Liguri fornirono soldati, esploratori e guide alle truppe di Annibale al momento di varcare gli Appennini. I liguri speravano infatti che il generale cartaginese li liberasse dal vicino romano. I Liguri parteciparono alla battaglia della Trebbia, in cui i cartaginesi ottennero la vittoria. Altri Liguri si arruolarono nell'esercito di Asdrubale quando questi calò in Italia nel 207 a.C. nel tentativo di ricongiungersi con la truppa del fratello Annibale. Nel porto di Savo (l'attuale Savona) allora capitale dei Liguri Sabazi, trovarono riparo le navi triremi della flotta cartaginese del generale Magone Barca, fratello di Annibale, destinate a tagliare le rotte commerciali romane nel mar Tirreno. I Liguri si divisero comunque tra alleati di Cartagine e alleati di Roma. Quando i Romani conquistarono una prima volta questo territorio, con l'aiuto dei loro federati Genuates (i genovesi), l'attuale regione della Liguria, futura IX Regio dell'Impero romano, che si estendeva dalle Alpi Marittime e Cozie, al Po, al Trebbia e al Magra, prese il nome con cui è ancora oggi chiamata. Con la definitiva sconfitta di Annibale a Zama nel 203 a.C. i Romani poterono riprendere la campagna contro i Liguri.

- Dal III secolo a.C. i Romani, avendo avuto ragione degli Etruschi e integrato i loro territori, si trovarono a diretto contatto con i Liguri. L'espansionismo romano puntava verso i ricchi territori della Gallia e della penisola iberica (allora sotto il controllo cartaginese) e il territorio ligure era il percorso per accedervi (i Liguri controllavano le coste liguri e le Alpi meridionali). All'inizio i Romani ebbero un atteggiamento piuttosto accondiscendente poiché il territorio dei Liguri era considerato povero, mentre la fama dei suoi guerrieri era nota (li avevano già incontrati in qualità di mercenari), inoltre erano già impegnati nella prima guerra punica e non erano intenzionati ad aprire nuovi fronti; pertanto cercarono innanzitutto di farseli alleati. Nonostante i loro sforzi, solo poche tribù liguri fecero con i Romani accordi di alleanza (famosa l'alleanza con i Genuati), mentre gli altri si dimostrarono ostili. Le ostilità furono aperte nel 238 a.C. da una coalizione di Liguri e di Galli Boi, ma i due popoli si trovarono ben presto in disaccordo e la campagna militare si arrestò con lo sciogliersi dell'alleanza. In seguito una flotta romana comandata da Quinto Fabio Massimo sbaragliò navi liguri (probabilmente pirati) lungo la costa ligure (234-233 a.C.), permettendo ai Romani il controllo della rotta costiera da e per la Gallia. Con lo scoppio della seconda guerra punica (218 a.C.) le tribù Liguri ebbero atteggiamenti differenti:una parte (le tribù del ponente, quelle apuane e appenniniche) si allearono con i cartaginesi, fornendo soldati alle truppe di Annibale quando giunse in nord-Italia (speravano così che il generale cartaginese li liberasse dal vicino romano) mentre un'altra parte (i genuati, le tribù del levante e i Taurini) si schierarono in appoggio ai Romani. Da http://nuovotuttosapere.altervista.org/la-conquista-romana-dellattuale-liguria/?doing_wp_cron=1585053063.0515789985656738281250 preso da Cultura-Barocca  http://www.cultura-barocca.com/ ma modificato: “Benché Annibale nel 218 a.C., durante la II guerra punica, fosse entrato in Italia per altri valichi, ai Romani non sfuggiva l’importanza della via costiera della Liguria. Gli Ingauni possedevano un territorio molto vasto, che dal mare raggiungeva le valli della Bormida e del Tanaro e penetrava in area pedemontana, mentre il territorio intemelio rappresentava un passaggio obbligato per qualsiasi esercito che dovesse dovuto raggiungere la Gallia Narbonese, che diventerà Provincia (da cui Provenza) nel 121 a.C., senza valicare le Alpi.
Mediterraneo occidentale nel 226 a.C.
dopo la prima guerra illirica (230-229
a.C.), l'avanzata cartaginese fino
all'Ebro e l'alleanza romana con
Cenomani e Veneti in Pianura
Padana. Di Cristiano64, questo file
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Oltre a tutto ciò i Liguri, con la loro attitudine alla pirateria, potevano sempre disturbare i traffici, sia militari che mercantili, di chi attraversasse vie, sia terrestri che marittime, soggette al loro controllo: per questo Roma affidò a due duumviri navales il compito, non semplice, di domare queste scorrerie piratesche. Scontri militari fra Romani e popolazioni liguri si erano verificate anche prima del conflitto annibalico, ma in quell'occasione, per un’antica alleanza coi Cartaginesi, scesero in campo contro la maggiore potenza italica, molte genti costiere del territorio compreso tra Vada Sabatia [Vado Ligure (IM)], centro dei Liguri Sabazi ed Albintimilium [Ventimiglia (IM)], centro dei Liguri Intemelii, ad infoltire le truppe di Magone, fratello di Annibale, tra il 205 ed il 203 a.C.. Inoltre agli Ingauni, in cambio della promessa di fornirgli truppe ausiliarie, Magone fece il non trascurabile favore di infliggere pesanti sconfitte a Montani ed Epanterii, i rozzi liguri dell’interno, che saccheggiavano spesso il territorio ingauno. La sconfitta di Magone da parte del Pretore Publio Quintilio Varo nel 203 a.C. costrinse i Liguri, ed in particolare gli Ingauni, a stipulare una serie di trattati coi Romani per il timore di rappresaglie, viste le precedenti alleanze con i Cartaginesi. Lo storico Romano Tito Livio (Patavium, 59 a.C. - Patavium, 17) menziona un trattato di non belligeranza che appare esteso alla sola Albingaunum, ma ciononostante è da credere, visto il peso politico degli Ingauni, che quel trattato di non belligeranza si ritenesse esteso a tutte le genti del ponente ligure.
Il Mediterraneo al tempo della pace
siglata al termine della seconda guerra
punica (201 a.C.). Roma ottenne il
controllo dell'intera penisola italica,
di Sardegna, Corsica, Sicilia e delle
coste mediterranee della penisola
Iberica, estendendo la sua influenza
fino all'area dell'Egeo. Di Cristiano64
File che deriva da: West Mediterranean
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I Liguri rimasero però sempre gelosi della loro autonomia e quindi, dal 201 a.C. vissero in uno stato di costante belligeranza e guerriglia contro Roma, che cercò di porvi rimedio con uno sforzo militare decisivo, specie dopo il poco onorevole episodio del pretore Lucio Bebio Divite, che venne sconfitto dagli eserciti congiunti dei Liguri non lontano da Massalia, città in cui si rifugiò con le truppe superstiti e dove morì per le ferite subite, come scrissero Livio (XXXVII, 5) ed Orosio (IV, 20, 24). L’incentivazione romana delle operazioni belliche in Liguria si può datare dal 188 a.C. con le imprese del console M. Valerio Massimo (Livio, XXXVIII, 35, 7 e 42, 1). I risultati non furono definitivi né pari alle aspettative di Roma, così il Senato affidò ad entrambi i consoli del 187 a.C. (Marco Emilio Lepido e Gaio Flaminio) la provincia della Liguria col compito di pacificarla definitivamente (Livio, XXXVIII, 42, 8). Nonostante l’abilità dei Liguri a combattere nel loro aspro territorio, servendosi della velocità e di armi leggere che permettevano rapide fughe ed improvvisi attacchi, le legioni romane ottennero questa volta dei risultati importanti (Livio, XXXIX, 1, 1). La pressione militare di Roma aumentò ancora dal 185 a.C. ed i popoli liguri subirono una serie di pesanti sconfitte. Mentre il console Marco Sempronio Tuditano sottometteva il levante ligure, il suo collega Appio Claudio Pulcro lo eguagliava “con alcune fortunate battaglie nel territorio dei Liguri Ingauni”, come ancora scrisse Livio (XXXIX, 38, 1). Nonostante questi successi la Liguria non fu del tutto piegata e per garantire un più rigido controllo ed una maggior possibilità di celere intervento militare, fu a lungo assegnata come provincia consolare (al tempo della Repubblica di Roma, per provincia consolare si intendeva quella che veniva assegnata ad un console perché vi capitanasse una guerra o dovesse compiervi operazioni militari, N.d.R.). Nel 184, peraltro, gli Ingauni ed i loro alleati, essendo consoli Publio Claudio Pulcro e Lucio Porcio Licino, presero a riorganizzarsi, con una serie di successi militari culminati, nel 181 a.C., in una potente “lega militare” che respinse e poi assediò il proconsole Lucio Emilio Paolo che s’era mosso contro di loro a capo di una discreta forza di guerra. Lucio Emilio Paolo, che era però un buon comandante ed un soldato valoroso, seppe rompere l’assedio posto al suo accampamento ed alla fine inflisse una dura sconfitta alla coalizione di Liguri, il cui grosso dell'esercito era composto da Ingauni. Dopo la sconfitta definitiva degli Ingauni (nel 181 a.C.) da parte di Lucio Emilio Paolo, il console Aulo Postumio Albino, dal territorio degli Apuani si spinse via di mare ad ispezionare quello intemelio, spedizione che fa presumere che, pacificati gli Ingauni, anche gli Intemelii avessero accettata la supremazia romana. La guerra coi Liguri era stata abbastanza dura ed il Senato, di fronte ad imminenti conflitti in Oriente, preferì mitigare le richieste nei confronti dei popoli vinti, anche per evitare possibili insurrezioni. Il dominio sugli Intemelii, al pari di quello delle altre genti liguri, prese la forma di foedus onorevole e la sua capitale Albintemilia acquisì la denominazione di “città federata” (cioè legata da vincoli di alleanza) nei confronti di Roma. Non è semplice oggigiorno ricostruire le forme tra i possibili “accordi” stipulati coi Romani dai Liguri vinti ma è certo che non si ebbero più insurrezioni e che i Liguri assolsero ai propri doveri con rigore (queste genti – come ricorda Sallustio nel De Bello Iugurt., 77, 4 e 93-94 - vennero inquadrate in coorti ausiliarie e se una di queste, assieme a 2 “turme” di Traci e pochi altri soldati, si macchiò del tradimento del legato romano Aulo Postumio Albino, causandone la sconfitta a Suthul in Numidia, è altrettanto vero che proprio un soldato ligure, col suo coraggio, permise a Gaio Mario di occupare una città dei Numidi). Poco per volta, per quanto abbastanza impermeabili in un primo tempo all’acculturazione romana, i Liguri si inserirono nel contesto statale di Roma (pur fondendosi con le genti celtiche, N.d.R.).”.

Carta dell'anno 6 con la IX regio romana, la Liguria e dintorni, con i
nomi delle varie popolazioni Liguri ormai romanizzate.

- Nel II secolo a. C., afferma Polibio (Megalopoli, 206 a.C. circa - Grecia, 124 a.C.), dalla foce dell'Arno a quella del Rodano si navigava per cinque giorni lungo il paese abitato dai Liguri, ragion per cui tutto quel tratto di mare si chiamava ligustico. Ma, avanzando ed espandendosi continuamente le conquiste dei Celti nella Gallia meridionale e occidentale, gli Iberi ne vennero ricacciati ed inseguiti entro i confini naturali della loro penisola, mentre i Liguri furono cacciati dalle coste settentrionali dell'Iberia e da quelle meridionali della Gallia, anche a Est del Rodano dove li troviamo comunque mescolati coi Celti col nome di Celto-Liguri. Molte tribù liguri, comunque, mantennero la propria autonomia e indipendenza soprattutto sulla costa fino alla dominazione romana nella seconda metà del II secolo a.C. Le principali tribù erano quelle degli Oxibii e dei DeceatiLiguri schietti, contro i quali poco o nulla poterono i Celti; e furono appunto quelle tribù che, a motivo delle loro perpetue ostilità contro Massalia, provocarono le prime ostilità di Roma contro i Liguri transalpini (trans = al di là, delle Alpi). Diversi autori (Diodoro Siculo, Virgilio, Livio, Cicerone) riportano come i Liguri ancora nel II secolo a.C. vivessero in condizioni primitive e ci consegnano l’immagine di un popolo semiselvaggio, ferino, i cui guerrieri incutono timore solo con il loro aspetto. Nel contempo vengono però sottolineate le qualità di solidarietà ed onestà di una popolazione agricola e pastorale non ancora divisa in classi e in cui le donne affrontano le stesse fatiche degli uomini in una terra definita sassosa, sterile, aspra o coperta di alberi da abbattere. Non tutti gli autori antichi esprimono giudizi positivi, ad esempio Marco Porcio Catone definisce i Liguri ignoranti e bugiardi, un popolo che ha perso memoria delle proprie origini. Tutti questi elementi ci fanno capire come i Liguri, popolo antichissimo la cui diffusione in tempi remoti interessò gran parte del Mediterraneo Occidentale, furono assoggettati non senza difficoltà dai Romani, nei confronti dei quali la mancanza di una cultura, di tradizioni radicate, di una identità, di un’unità politica e di una classe nobiliare con potere decisionale, furono motivo di debolezza non sufficientemente bilanciata dal vigoroso temperamento che li caratterizzava. (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Liguri ).
Antica scultura Ligure,
reperto di Luni.
La seconda fase dello scontro fra Liguri e Romani, nell'ambito della loro conquista della Gallia Cisalpina (cis = al di qua, delle Alpi) e quindi del passaggio costiero verso la Gallia Narbonese, si concretizzerà in una lunghissima campagna militare che durò dal 197 a.C. al 155 a.C.. Storicamente l'inizio della campagna viene datato al 193 a.C. per iniziativa dei "conciliabula" (federazioni) dei Liguri, che organizzano una grande scorreria spingendosi fino alla riva destra del fiume Arno. In realtà i Romani avevano iniziato alcune limitate operazioni militari lungo l'appennino già negli anni precedenti (vedi ad esempio le operazioni del console Minucio Rufo del 197 a.C. a Casteggio).
I nomi dei centri abitati
in epoca romana e
quei centri oggi.
Nel corso di tutta la guerra i Romani vantarono 15 trionfi e almeno una grave sconfitta. Nel 186 a.C. i Romani vennero battuti dai Liguri nella valle del Magra; nella battaglia, che avvenne in un luogo stretto e dirupato, i Romani persero circa 4000 soldati, tre insegne d'aquila della seconda legione e undici vessilli degli alleati latini. Inoltre, nello scontro rimase ucciso anche il console Quinto Marzio. Si pensa che il luogo della battaglia e della morte del console abbia dato origine al toponimo di Marciaso o a quello del Canale del marzo sul Monte Caprione nel comune di Lerici e vicino ai ruderi della città di Luni, che sarà poi fondata dai Romani. Tale monte aveva un'importanza strategica perché da esso si controllava la valle del Magra ed il mare. Nel 180 a.C. i Romani, per poter disporre della Liguria nella loro conquista della Gallia, dovettero deportare 47.000 Liguri Apuani, confinandoli nell'area Sannitica. Nel 180 p.e.v. (a.C.)  i proconsoli Romani Publio Cornelio Cetego e Marco Bebio Tanfilo inflissero una gravissima sconfitta ai Liguri (soprattutto ai Liguri Apuani, irriducibili ribelli) e ne deportarono ben 40.000 nelle regioni del Sannio (compresa tra Avellino e Benevento). A questa deportazione ne seguì un'altra di 7.000 Liguri nel corso dell'anno successivo. Questi sono stati uno dei pochi casi in cui i Romani hanno deportato popolazioni sconfitte ed in numero così elevato. Nel corso della campagna i Romani fondarono, su agglomerati preesistenti, le colonie di Lucca (180 a.C.) e di Luni (177 a.C.), originariamente concepite come avamposti militari per il controllo del territorio e come basi di rifornimento per le legioni impegnate nella guerra.
La Liguria e i suoi maggiori centri in epoca romana.
Già nel 177 a.C. gli ultimi gruppi di Liguri Apuani si arresero alle forze romane, mentre la campagna militare continuava più a nord. Le ultime resistenze furono vinte nel 155 a.C. dal console Marco Claudio Marcello. Anche dopo la loro sconfitta definitiva alcuni contingenti di Liguri operarono per qualche tempo come ausiliari negli eserciti romani, combattendo nella guerra contro Giugurta e nella campagna contro i Cimbri e i Teutoni. Una legione di Liguri era stanziata ad Olbia per opporsi alle incursioni dei Sardi dell'interno.

- Lo storico greco del I secolo a.C. Plutarco (Cheronea, 46/48 - Delfi, 125/127) riferisce che i Liguri  dessero a se stessi il nome di Ambrones, lo stesso di una delle tribù celtiche che si erano alleate con i germanici Cimbri e Teutoni nell'invasione dell'Italia iniziata nel 113 a.C. Nel 102 a.C. Ambroni, Cimbri e Teutoni, avendo l'intento di invadere il territorio italico, tennero una base in Gallia, dividendosi poi in due fronti. Gli Ambroni ed i Teutoni transitarono in Liguria, a est di Marsiglia, mentre i Cimbri entrarono in Italia passando dal Brennero, odierno Sud Tirolo. A questo punto i Romani decisero di nominare per la quinta volta console Gaio Mario, illegittimamente, visto che tale ruolo, valido per un anno, non era mai assegnato consecutivamente. Mario marciò in Liguria stabilendo un campo sul percorso del nemico. I Teutoni assaltarono il campo venendo respinti e decisero di proseguire aggirando il campo. Mario li seguì accampandosi vicino a quella che sarebbe passata alla storia col nome di battaglia di Aquae Sextiae, ai piedi delle Alpi (l'attuale Aix en Provence). Plutarco, nella vita di Mario 10, 5-6, scrive che i Celti Ambroni cominciarono a gridare "Ambrones!" all'inizio della battaglia; i Liguri, che fiancheggiavano i Romani, sentendo l'urlo e riconoscendo il nome che anch'essi usavano per i loro discendenti (οὕτως κατὰ ὀνομάζουσι Λίγυες), risposero con lo stesso grido "Ambrones!" e passarono dalla parte nemica. Per "Celti: storia e cultura" clicca QUI.

Carta geografica nell'anno 6 d.C. La Liguria (da Nizza al Po al
Magra ) è la IX Regio Romana. Sono segnalati i Liguri
Intemeli ed Ingauni. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- I Romani chiamavano ‘Liguri dai capelli lunghi’ (Ligures comati) quei popoli Liguri stanziati nelle zone più montuose della Liguria e dell’Appennino tosco-emiliano. Nelle Alpi Marittime, molte tribù che si mantennero a lungo ostili ai Romani, continuando ancora a definirsi Ligures capillati al tempo di Augusto. In epoca romana la Liguria presentava per lo meno cinque strati linguistici ben identificati: latino, gallico, lepontico, antico europeo e pre-indoeuropeo. Per il post "Dal linguaggio ligure al celtico nell'Italia settentrionale antica, i 5 alfabeti usati e il runico germanico", clicca QUI.

- Nel 6 e.v.Genova divenne il centro della IX delle regioni dell'Italia augustea. Da quel momento la storia della Liguria confluirà in quella di Roma e ne seguirà il destino.

I LIGURI in EUROPA
Liguri, nel continente europeo, ebbero un'azione assolutamente estesa ed efficace.
A formarci un concetto vicino al vero della potenza e dell'estensione dei Liguri nell'Occidente antico, dove hanno lasciato documenti sicuri della loro dominazione, sarà utile anzi tutto distinguere, nei vari periodi della loro esistenza, i limiti geografici dai confini politici della Liguria.
La Liguria, IX regione dell'Impero Romano nella divisione di Augusto dell'anno 6 .d. C., superava i 25.000 Kmq. estendendosi sul Mediterraneo dal Varo alla Magra (vedi mappa dei 7 fiumi sopra) e, nel continente, dalle  Alpi marittime, o forse dalle Cozie, alla Trebbia e al Panaro sulla destra del Po, ed abbracciava la zona di Nizza, ora appartenente alla Francia, le attuali province di Imperia, Genova, Massa e Carrara, Alessandria, Cuneo e la parte di quelle di Torino e Pila situate sulla destra del Po. Non mancavano sulla riva sinistra del fiume Po, dal Ticino alle Alpi Cozie, popolazioni di origine essenzialmente ligure, soprattutto nelle campagne, ma assegnate da Augusto alla Gallia transpadana occidentale poiché vi erano divenuti prevalenti popoli di sangue celtico, pur rimanendo ligure il nucleo della popolazione.
Questi limiti della Liguria di Augusto sono però ancora molto lontani dal rappresentare tutta l'estensione geografica di una nazione costituita da innumerevoli tribù che, ancora nel IX secolo a.C., era nell'opinione dei Greci la vera rappresentante dell'Occidente, come gli Sciti lo erano del Settentrione e gli Etiopi del Sud, mentre all'inizio dell'era volgare era talmente decaduta sotto ogni aspetto che Strabone, nella sua geografia, non crede neppure valga la pena di occuparsene e se la sbriga con poche parole. I primi scrittori che fecero menzione dei Liguri furono i Greci, i quali ne ebbero vaghe notizie dai Fenici (o Cananei), che fino al secolo VIII a. C. navigavano, quasi esclusivamente per ragioni di commercio, nel bacino occidentale del Mediterraneo, mentre nel Tirreno prevalevano gli Etruschi, fatta eccezione per Cuma, la sola colonia greca in quel tratto di mare che sostenesse il nome ellenico fin dal secolo XI.
Fenici, per gelosie di commercio, spargevano sul tratto di mare mediterraneo occidentale, falsi e spaventosi racconti di mostri marini, torrenti di fuoco, luoghi innavigabili e altre favole per tenerne lontani i Greci, ricorrendo anche alla violenza contro quelli che osavano dirigervi le loro navi fino ad assalirle pur di tener nascosti i loro viaggi ed esclusivi i loro commerci.
Focea (Phocaea), Cuma Eolica (Cyme)
e Smirne (Smyrna).
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Più tardi, nel VII e VI secolo a. C., Focei, gli abitanti di Focea, nell'antica Ionia, oggi Turchia (per visualizzare il post del Manoscritto Anonimo del 1700 in cui si parla dei Focei nell'area di Sanremo, clicca QUI) e Samioti aprirono relazioni commerciali con gli abitanti delle coste dell'Iberia orientale e della Gallia meridionale che erano quasi tutti Iberi e Liguri, senza però riportarne informazioni circostanziate e importanti. Nella particolareggiata leggenda di Massalia (Marsiglia), si racconta come i primi coloni Focei, Simos e Protis, provenienti da Efeso, incontrando il sovrano ligure Nannu sarebbero stati invitati in una lingua incomprensibile a partecipare ad un banchetto al quale a loro insaputa la figlia di Nannu, Gyptis avrebbe scelto il suo sposo tra gli astanti. Gyptis espresse la sua preferenza per il greco Protis, generando la comunione tra i popoli. La terra su cui avrebbero edificato la loro città, infatti, sarebbe stata proprio Massalia. Questo episodio ci fa intendere che Massalia non può essere considerata una colonia esclusivamente greca, ma più probabilmente era luogo di un'intesa greco-ligure come accesso al Mediterraneo dei commerci continentali europei e viceversa (sale, metalli, ambra, vino, manufatti ecc.).
Bireme Romana con rostro.
Informazioni sicure si ebbero fin dal III e II secolo a.C. per opera dei Romani, e dopo la terza guerra punica, nella metà del II sec. a.C.
Il poeta greco Esiodo, VIII-VII secolo a.C., per primo fa menzione dei Liguri, e da loro il nome di Libuas, che i più leggono Liguas e Ligoas, e li considera come la principale nazione dell'Occidente.
Eschilo, nel Prometeo, colloca i Liguri nell'attuale Provenza nel secolo XIV a.C., e loda come intrepido il loro esercito, che Ercole riuscì a superare soltanto con l'aiuto degli dei. Erodoto (V sec. a. C.), nell'Iberia meridionale, non conosce che Cineti o Cinesi, creduti di origine africana e, sulla costa orientale, Iberi e Liguri (Ligues). Sempre Erodoto pone i Celti ancora ad occidente dei Cinesi (o Cineti), ricordandone una sola città nell'entroterra. Ecateo (V - VI secolo a. C.), geografo tenuto in grande considerazione dagli antichi ed anteriore a Erodoto, ricorda la città di Sicana nell'Iberia e, sulle sponde orientali dell'Iberia e su quelle meridionali della Gallia fino alla Tirrenia in Italia, non vede che Liguri, collocandoli sempre sulla costa, dove pone la Ligistica o Ligustica: dice Massalia città della Ligustica vicino alla Celtica, non nella Celtica, e Timeo lo conferma con le stesse parole. Sofocle nomina la Ligustica fra le contrade dell'Occidente visitate da Trittolemo, ed Euripide dà a Circe l'appellativo di Ligustica. Antichi scrittori , tra cui Stefano di Bisanzio, ricordano una città Ligustica nel bacino del Tartesso (Betis o Guadalquivir) , il quale secondo Rufo Festo Avieno, nella sua Ora Maritima, esce dal lago ligustico. Ed è proprio l'Ora Maritima di Avieno che ha spinto l'archeologo, storico e filologo tedesco Adolf Schulten (1870 - 1960) a ricercare e trovare le prove di una civiltà Tartessica sorta nel sito di una fiorente civiltà composta da Liguri proprio nell'acquitrinoso Lago Ligur (Lagus Ligustinus per i Romani), collocato nel delta dell'antico Tartesso, il Guadalquivir.

I LIGURI in ITALIA
Carta geografica della
componente genetica Ligure in Italia.
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Del fatto che i Liguri fossero stanziati in varie parti dell'Italia centrale e specialmente nel Lazio abbondano argomenti sicuri e sappiamo che ne furono espulsi con le armi dagli Italo-Greci (Aborigeni e Pelasgi) verso il secolo XIV a. C.; al che non sarà inutile aggiungere le osservazioni di Filisto, il quale afferma che i popoli, passati dal continente italico nella Sicania, espulsi dagli Umbri e dai Pelasgi, non erano Siculi, ma Liguri sotto il regno di Italo, figlio di Sicalo. Per questo presero il nome di Siculi, e da Sicalo derivò all'isola quello di Sicilia. Della presenza dei Liguri nel Sannio non mancano indizi certi, ma riguardano gli ultimi secoli della Repubblica romana che vi deportò in un anno ben quarantamila Liguri Apuani con le loro famiglie, e poco dopo altri sei mila. Polibio trova un fondamento di popolazione ligure in varie parti della Toscana e Giustino dice che la città di Pisa fu fondata dai Liguri che, espulsi poi da quella provincia, sostennero lunghe lotte con gli Etruschi, ragion per cui i loro confini politici si ridussero dall'Arno alla Magra; e la città di Luni col suo meraviglioso porto venne alternativamente posseduta da Liguri ed Etruschi. Sulla destra del Po, pare che la Trebbia e tutt'al più il Taro fossero i loro confini accertati, mentre negli Appennini avanzarono fino al corso superiore della Secchia. I Liguri Friniati erano stanziati fra le valli di Secchia e Panaro, l'attuale Frignano. Piacenza era una colonia romana e in quel di Modena e Reggio discesero più volte dai loro monti a saccheggiare il paese e le città; ma non pare che vi stanziassero stabilmente in tempi storici, mentre sembra che lo fecero in età protostoriche. Anche sulla sinistra del Po i Liguri tennero le posizioni contro Umbri ed Etruschi ancora in tempi storici, certamente fino al Ticino sul quale fondarono una città (ora Pavia), finché nel secolo VII a.C. secondo Livio, nel IV a. C. secondo altri, concessero spontaneamente la via ai Celti, se non addirittura li chiamarono essi stessi a danno degli Etruschi. I Celti occuparono successivamente tutta l'Etruria circumpadana e pare che i Liguri abbandonassero loro la dominazione di quasi tutta la sponda sinistra del Po nelle regioni subalpine, il cui possedimento era indispensabile ai Celti per avere libero il passo alla Gallia transalpina dalla quale erano giunti e dalla quale continuavano a giungere altri gruppi. In quel tratto di terre subalpine, alla venuta d'Annibale, dominavano ancora i Celti certamente fino alla Dora Baltea e forse alla Riparia. Polibio afferma che il generale cartaginese sboccò nel territorio degli Insubri; Plinio che discese in Italia per il varco che separa le Alpi Graie dalle Pennine. Ma, tranne le regioni subalpine concesse dapprima spontaneamente e forse in seguito occupate con la forza dai Celti, i Liguri si mantennero anche sulla riva sinistra del Po della quale continuarono a possedere un tratto che dal corso inferiore della Sesia si allargava nella direzione di Novara fino al Ticino ed era abitato da tribù liguri in mezzo alle quali penetrarono e si stabilirono numerosi gruppi di Celti. Con l'andar del tempo però, affluendo sempre nuovi transalpini nel bacino del Po, il dominio di quasi tutto il paese, dal Po alle Alpi occidentali, rimase ai Celti; fatto questo che certificherebbe in parte il limite posto dai Romani alla Liguria, ristretto alla destra del fiume, assegnando la sinistra alla Celtica o Gallia cisalpina. Qui, infiltrandosi e mescolandosi coi Liguri della sponda sinistra, i Celti esercitarono un gran mutamento sull'etnografia degli stessi, mentre sulla destra del fiume vennero in gran parte agevolmente assimilati.
Nel XIX secolo si occuparono dei Liguri alcuni studiosi. Amédée Thierry (1797-1873), storico francese, ritenne che fossero da collegare agli Iberi, mentre Karl Viktor Müllenhoff  (1818-1884), professore di antichità germaniche alle università di Kiel e di Berlino, studiando le fonti dell'Ora maritima di Rufio Festo Avieno (poeta latino vissuto nel IV secolo, ma che avrebbe utilizzato per la sua opera un periplo del VI secolo a.C.), ritenne che il nome dei Liguri fosse riferito genericamente a diverse popolazioni che vivevano nell'Europa occidentale, compresi i Celti, ma ritenne i Liguri veri e propri come una popolazione pre-indoeuropea. Dominique François Louis Roget de Belloguet ne sostenne invece un'origine "gallica". Sempre a favore di un'origine pre-indoeuropea furono Henri d'Arbois de Jubainville, storico francese ottocentesco, che sostenne che i Liguri, insieme agli Iberi, costituissero i resti della popolazione autoctona che si era diffusa nell'Europa occidentale con la cultura della ceramica cardiale e Arturo Issel, geologo e paleontologo genovese, li considerò diretti discendenti dell'Uomo di Cro-Magnon, e diffusi a partire dal mesolitico in tutta la Gallia.
Diffusissimi nell'appennino Tosco-Emiliano,
antichi bassorilievi sui frontoni delle case,
di sapore Celto-Ligure, che raffigurano teste.
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Convenzionalmente e tradizionalmente gli antichi Liguri vengono ritenuti un gruppo di popoli di lingua inizialmente non indoeuropea (pre-indeuropei), provenienti dalla Penisola iberica e stanziatisi in epoca Preistorica in Linguadoca e nell'Italia Nord-occidentale.
Della lingua parlata si conoscono solo toponimi e antroponimi, terminanti con suffisso in -asca o in -asco. Si tratta di una lingua probabilmente pre-indoeuropea con influenze celtiche e latine. Secondo il linguista Xavier Delamarre sarebbe stata una lingua celtica simile al gallico.
I Liguri, fondendosi progressivamente con elementi Indoeuropei divennero essi stessi Proto-Indoeuropei, parlanti un miscuglio di lingue durante il Neolitico, Indoeuropei, parlanti un lingua ancora non specializzatasi nei vari dialetti, tra il 3000 ed il 2000 a.C., Proto-celti, parlanti una forma arcaica di celta con influssi antico-liguri tra il 2000 ed il 1000 a.C., ed infine Celti o Liguri celtizzati con la fusione e scomparsa delle reminiscenze linguistiche liguri, dal 1000 a.C. in poi.
(Per visualizzare il post sui Celti, clicca QUI).

ETNOGRAFIA ed ETNOLOGIA dei LIGURI
Carta geografica delle origini delle Lingue
Italiche e del linguaggio dei Liguri,
non Indoeuropeo. Clicca
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La maggior parte degli etnografi considerano come un fatto acquisito che i primi abitanti della nostra penisola, di cui ci siano pervenute tracce più o meno sicure, appartenessero a diversi tipi fra cui erano preminenti il tipo Uralo-altaico o turanico e quello iberico, non tenendo conto di frazioni minori di altre stirpi di cui esistono scarse tracce benché nelle varie regioni abbondino prove incontestabili della loro esistenza. I primi, turanici, ci hanno lasciato documenti della loro presenza e fino ad un certo punto della loro civiltà o, piuttosto, relativa barbarie nelle caverne ossifere sparse nell'intera penisola e nelle isole, soprattutto nelle abitazioni lacustri dell'età della pietra e negli strati inferiori delle terramare. Ma scomparvero dinanzi alle immigrazioni ariane delle genti italiche e, in piccola parte, anche celtiche, germaniche e slave che li espulsero, distrussero o assimilarono. 
I secondi, invece, rappresentati principalmente dai Liguri, per i quali non si sono scoperte finora tracce sicure di costruzioni lacustri, né di terramare, coesistettero nella penisola con le popolazioni turaniche; e benché successivamente quasi ridotti in un territorio sempre più ristretto, vi si mantennero indipendenti nei confronti degli invasori ariani per molti secoli, resistendo fino agli ultimi tempi della repubblica romana.
Carta geografica della diffusione dei
 Liguri nell'Italia settentrionale:
in questa cartina è raffigurata
 l'ipotesi di un Mare Padano.
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Fino al II millennio a.C. si pensa che i Liguri occupassero ancora ampi territori dell'Italia nord-occidentale ed anche nord-orientale (la Cultura di Polada ha evidenti similitudini con l'arte Ligure) per poi essere ristretti nei loro confini storici dal sopraggiungere di nuove ondate di popoli Indoeuropei (proto-Italici, Tirreni, Venetici e proto-Celti). Più in generale, si parla di Liguri o Ligi per tutta la costa mediterranea occidentale, fino alla foce dell'Ebro, venendo poi a distinguere gli Iberoligi (Celtiberi), i Celtoliguri e i Liguri propriamente detti. Va citata anche la popolazione forse di ceppo ligure dei Corsi, che popolava la Corsica e il nord-est Sardegna nel II e I millennio a.C. Secondo una visione invasionista tradizionale sarebbero un popolo pre-indoeuropeo. Secondo una visione più continuista, rappresenterebbero il ramo più settentrionale di uno strato indoeuropeo diffuso nel II millennio a.C. in tutta l'area tirrenica, fino all'Italia meridionale e alla Sicilia. La fonte più antica che cita i Liguri è rappresentata da una discussa versione di un frammento di Esiodo (fine VIII inizi VII secolo a.C.), riportato da Strabone che cita i Liguri insieme agli Etiopi e agli Sciti come i più antichi abitanti dell’Occidente: “Etiopi, Liguri e Sciti allevatori di cavalli”.
Le memorie storiche e tradizionali non riconoscono popoli abitatori della penisola italica anteriori a Liguri, Sicani e Siculi; di questi ultimi, però, non è accertata l'origine iberica, e pare fossero Liguri.
Dionigi di Alicarnasso, storico greco del I secolo a.C., nelle Antichità romane, parlando degli aborigeni italici, riporta l'opinione di alcuni secondo i quali essi sarebbero stati coloni dei Liguri e definisce questi ultimi "vicini degli Umbri", riportando che abiterebbero "molte parti dell'Italia e alcune parti della Gallia" ma che non si conosce il loro luogo di origine.
Riferisce inoltre dei versi del "Trittolemo" di Sofocle, che enumera i Liguri lungo la costa tirrenica a nord dei Tirreni e ancora riprende la notizia di Tucidide, riferendo come i Sicani fossero una popolazione di origine iberica, scacciata dal loro originario territorio dai Liguri, mentre, secondo Filisto da Siracusa, gli stessi Siculi sarebbero stati Liguri, cacciati dalla loro terra dagli Umbri e dai Pelasgi e passati in Sicilia sotto la guida di Siculo, diciotto anni prima della guerra di Troia.
Infine riferisce che i Liguri occupavano i passi delle Alpi e avrebbero combattuto contro Ercole (o contro Prometeo, secondo il "Prometeo liberato" di Eschilo).
Nell'Eneide i Liguri sono una delle pochissime popolazioni che combattono al fianco di Enea nella guerra contro i Rutuli. Virgilio nomina anche i loro due re, Cunaro e il giovane Cupavone, il figlio e successore di Cicno, figura già nota alla mitologia greca.
I Sicani erano popoli di stirpe incontestabilmente iberica, non avendo alcun significato etnografico l'opinione che fossero autoctoni nella nostra penisola in cui sono rimaste tracce della loro presenza. Prima della loro venuta in Italia abitavano sulle coste occidentali dell'Iberia (attuale Spagna) sul fiume Sicano (ora Jùcar), dove possedevano una città chiamata Sicana, da cui vennero espulsi dai Liguri usciti dal bacino del Tartesso o Betis (ora Guadalquivir). Li ritroviamo poi in Italia dove la loro presenza nel Lazio e in altre regioni della penisola è attestata da scrittori degni di fede che ci informano come ne vennero espulsi dai Siculi e obbligati a passare nell'isola di Trinakia (Sicilia), a cui diedero il nome di  Sicania. Rispetto alla cronologia di questi avvenimenti non si possono proporre date più o meno precise: ma la presenza stanziale dei Sicani nella Trinakia, nei secoli XIV e XIII a.C., è attestata da monumenti egizi  contemporanei a loro, e da Diodoro Siculo che narra come, nell'età di Minosse di Creta (secolo XIV - XIII a.C.), vi possedessero case e città, correvano il mare come corsari col nome di "Shakalasch" (uno dei Popoli del Mare?) e invadevano le province egiziane inferiori, alleati a Libi e Rebu . La loro venuta in Italia e la partenza violenta dall'Iberia si dovrebbero collocare fra i secoli XX - XV prima dell'era volgare, benché si ignorino completamente i principali particolari cronologici e storici del loro esodo dalle sponde dello Jùcar all'isola di Sicilia. Il soggiorno dei Sicani nell'isola non fu tutto rose e fiori: dovettero dividere la dominazione coi Siculi che avevano cominciato a passarvi nel XIII secolo, secondo alcuni (Filisto di Siracusa ed Ellanico di Lesbo), o non più tardi dell'XI, secondo altri (Tucidide).
Tucidide riferisce come i Sicani si sarebbero stabiliti in Sicilia scacciati dai Liguri dal loro territorio originario presso il fiume Sicano, l'attuale Xùcar, Jùcar in castigliano, a sud di Valencia (vedi sopra la mappa dei 7 fiumi) nella penisola iberica, prima della guerra di Troia, iniziata presumibilmente intorno al 1.190 a.C.
I Sicani, avrebbero addirittura preceduto in Trinacria i Ciclopi e i Lestrigoni, e da più fonti risulta che i Sicani fossero in realtà Iberi stanziati presso il fiume Sikanos in Iberia (Stefano di Bisanzio ed Ecateo ricordavano pure una città iberica chiamata "Sikanè"), da dove i Liguri li avrebbero scacciati.
Da loro l'isola, che prima si chiamava Trinacria, finì col prendere il nome di Sicania.
Ai tempi di Tucidide i Sicani avrebbero abitato la parte occidentale della Sicilia.

Carta geografica delle Popolazioni
italiche intorno al 1000 a.C. nell'Italia
preromana, abitata da Liguri, Veneti,
Celti, Istri, Umbri, Etruschi, Piceni,
Sabini, Equi, Latini, Volsci, Sanniti,
Douni, Campani, Iapigi, Messapi,
Calabri, Lucani, Bruzi, Siculi,
Sicani, Sardi, Corsi. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
- E' riferito al Neolitico il tempo da cui si fa risalire la popolazione  ligure, designazione derivata dalla parola indo-europea liga che significa «luogo paludoso» o «acquitrino», termine che troviamo ancora oggi nel francese «lie» e nel provenzale «lia». La più antica citazione sui liguri è di Esiodo, riportata da Strabone in "Geografia", che riferendosi ai più antichi abitanti del Mar Mediterraneo cita: "e gli Etiopi e i Liguri e gli Sciti mungitori di cavalle".
Stefano di Bisanzio, nella sua verifica dei lemmi presi in considerazione da Ecateo di Mileto, nel VI sec. aC scrive:
Massalia: città della Liguria nel paese dei Celti
Ampelòs: città ligure ma di ignota locazione
Monoìkos: Monaco, città "ligustica"
Elisyci: popolo che faceva parte dei liguri, la cui capitale era Narbona Ligustìne: città iberica vicino a Tartesso
Agàthe: città dei ligusti presso il lago "ligustio"
Questo "lago lacustio" evoca il "lacusticus lacus" dell'area di Tartesso, quindi in Iberia, l'attuale Spagna e Portogallo. Ma vi è una Agàthe anche nella Linguadoca, nella zona della Camargue occidentale, per cui si pensa che questa Agàthe iberica sia la città di ligustìne presso Tartesso. Secondo Seneca, i liguri abitavano la Corsica. Filisto di Siracusa prende, invece, in causa i liguri della costa nord-adriatica, i quali sarebbero stati scacciati dall'arrivo di Umbri e Pelasgi intendendo per Umbri coloro che abitavano fra il Po e il Piceno e per Pelasgi coloro che avevano i loro porti presso Spina e Ravenna.
Sempre Filisto fa presente i Liguri nel lazio e li identifica come Siculi.
Il popolo degli antichi liguri viene legato agli antichi abitanti della pianura padana prima dell'arrivo dei Celti. Erodoto collocava i celti come successori dei Liguri, oltre le colonne d'Ercole, quindi oltre Gibilterra.
Cartina geografica della
penisola Italica con
  l'Italia preromana,
intorno al 1000 a.C.,
 abitata da Liguri, Reti,
Veneti, Celti,
Etruschi, Piceni,
Umbri, Sabini, Latini,
  Volsci, Sanniti, Aurunci,
 Osci, Iapigi, Messapi,
Bruzi, Siculi, Sardi,
Greci e Cartaginesi.
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Nel III sec. a.C. la penisola iberica era chiamata "Ligustiké", mentre quella italiana era chiamata "Italiké", e già i primi greci consideravano la Liguria quel territorio che andava dall'Etruria fino all'Oceano, oltre le Colonne d'Ercole. Antioco di Siracusa riporta che i liguri iberici abbiano costretto gli abitanti della zona del fiume Sikànos (il moderno Jùcar, a sud di Valencia) ad emigrare e questi abbiano trovato posto in Sicilia, prendendo il nome di Siculi. Col termine «Ligure» vennero denominate le popolazioni che abitavano le pianure alluvionali del Rodano. Anche se altri studiosi sostengono che i greci chiamarono «Liguses» i residenti della pianura che c'è tra Narbona e l'oppido di Montlaurès, e in particolare i commercianti del quartiere marittimo di Narbona. Come ci spiega il professor Henri Dubert, direttore dell'Ecole des  Hautes Etudes de France, nella sua documentatissima storia dei Celti (in Italia pubblicata dalla Ecig) «gli antichi scrittori, che pare conoscessero perfettamente i Liguri, non riferivano il loro nome a una nazione smisuratamente estesa, ma più genericamente a un nutrito gruppo di tribù (Salii, Taurini, Siculi, Ambroni), distinte dai Celti e dagli Italici».
A questo riguardo, pare ormai certo che tra il Neolitico e l'Età del bronzo una popolazione mediterranea, che in seguito verrà chiamata Ligure, abbia lasciato la costa africana o medio-orientale per dirigersi verso Nord in cerca di nuove terre approdando infine sulla costa delle riviere. Secondo un'altra ipotesi avanzata da William Ryan e Walter Pitman, professori di geofisica alla Columbia University di New York («Il diluvio» , Edizioni Piemme), in quel periodo l'Europa venne invasa via terra da popolazioni profughe del Mar Nero fuggite dal loro paese in seguito a uno spaventoso diluvio che fece crescere di 170 metri il livello delle acque di quello che allora era soltanto un grande lago. (Secondo alcuni mitografi, fu dopo la caduta di Fetonte che Zeus fece straripare tutti i fiumi uccidendo completamente il genere umano a eccezione di Deucalione e Pirra). In questo caso i fuggiaschi arrivarono in Francia dal Nord e questo spiegherebbe perché nell'antichità si parlava di un afflusso di genti che venivano dal Nord, anche se non è di quei territori che in effetti erano originari. Inoltre un segno ricorrente nella mitologia degli antichi liguri è il cigno iperboreo, animale che farebbe pensare ad un apparentamento con le popolazioni nordiche.
Elmo Ligure
Comunque sia, successivamente una tribù di questo popolo, appunto quella dei Siculi, si recò nell'isola che poi avrebbe preso il loro nome. Altri invece si stabilirono nel territorio laziale. Altri ancora, come spiega lo stesso professor Del Ponte, lasciarono evidenti tracce nel Trentino-Alto Adige tra le cui montagne della zona ladina formarono una colonia. «Infatti - sottolinea Del Ponte - ancora oggi si può riscontrare una metafonia, cioè una similitudine di suoni, simile in Liguria, nell'area ladina e in Sicilia. Tanto per fare alcuni esempi, basti pensare alla ligure Lerici e alla siciliana Erice, a Sestri e a Segesta» .
Del Ponte a questo proposito cita un passo di Dionigi di Alicarnasso riferito a Filisto di Siracusa, vissuto nel V secolo a.C.: «Come scrisse Filisto di Siracusa, la data del passaggio fu l'ottantesimo anno prima della guerra di Troia e il popolo che giunse dall'Italia non fu né quello degli Ausoni né quello degli Elimi, ma quello dei Liguri, guidato da Siculo. Narra poi che questi era figlio di Italo e che gli abitanti del suo regno erano chiamati Siculi: scrive anche che i Liguri furono cacciati dalle loro terre da Umbri e Pelasgi».
Nel XIV e XIII a.C. una frazione di Liguri si era stabilita nel Lazio, proprio nell'area dove verrà poi fondata Roma. Presumibilmente queste popolazioni avevano avuto il controllo della Toscana, Umbria (loro erano Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio) e delle Marche, in cui avevano fondato Numana e Ancona. Questi Liguri erano denominati Siculi, e potrebbe trattarsi dei Šekeleš, uno dei popoli del Mare.
Dionigi di Alicarnasso nella sua storia delle antichità romane parla dei Siculi come della prima popolazione che abitò la zona di Albalonga, dove poi sorse Roma. Il nuovo confine territoriale fu il fiume Salso dove rimase fino all'arrivo dei Greci.
Siculo (o Sikelòs o Siculos), è il presunto re che avrebbe dato il nome al popolo Siculo e alla Sicilia (Sikelia). La sua figura nella tradizione storiografica rimane costantemente legata alla storia del popolo Siculo che dalla penisola italiana passò in Sicilia, anche nei casi in cui si suppone che il popolo non fosse di Siculi, ma di Ausoni o di Liguri, sempre dello stesso popolo, e dello stesso re si parla.
Antioco Senofaneo parla di un Siculo indistinto che sembra comparire dal nulla per dividere le genti, i Siculi dai Morgeti e dagli Itali-Enotri.
Dei Siculi si fa menzione a proposito dell'arrivo dei Pelasgi in Italia. Così tramanda Dionigi di Alicarnasso:
“Affrettatevi a raggiungere la Saturnia terra dei Siculi, Cotila, città degli Aborigeni, là dove ondeggia un'isola; fondetevi con quei popoli, ed inviate a Febo la decima e le teste al Cronide, ed al padre inviate un uomo.”
I Pelasgi accolto l'ordine di navigare alla volta dell'Italia, e di raggiungere Cotila nel Lazio vetus, allestirono numerose navi e si diressero come prima tappa verso le coste meridionali dell'Italia, che erano le più prossime. Lo schema narrativo seguito da Dionigi è identico a quello che Varrone aveva prodotto prima di lui, per cui ci si aspetterebbe che i Pelasgi, obbedendo all'oracolo che ingiungeva loro di recarsi a Cotila, andassero a sbarcare sulle coste del mar Tirreno dove lo stesso Varrone li aveva fatti approdare.
“Ma”, dice Dionigi, “per il vento di Mezzogiorno, e per la imperizia dei luoghi, andarono a finire in una delle bocche del fiume Po, chiamata Spina. Qui lasciarono le navi, fondarono la città di Spina, si diressero verso l'interno e, superati gli Appennini, vennero a trovarsi sul versante occidentale della penisola italica nella regione dove a quel tempo abitavano gli Umbri.”
Ai Siculi, dice poi Dionigi, i Pelasgi tolsero CerePisaSaturniaAlsioFaleriFescennio ed altre città che in proseguo di tempo furono occupate dagli Etruschi autoctoni che coabitavano la regione.
In Dionigi di Alicarnasso leggiamo che i primi aggressori dei Siculi (o Liguri-Siculi), quando essi ancora si trovavano in Italia peninsulare furono i cosiddetti Aborigeni che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lesbio in Dionigi, infine, stanchi delle aggressioni o non potendo resistere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero migrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia.
Secondo Dionigi di Alicarnasso la città di Roma avrebbe avuto come primi abitatori indigeni dei barbari siculi successivamente espulsi dagli Aborigeni con l'aiuto dei Pelasgi. I Siculi, respinti, si sarebbero rifugiati in Sicilia e gli Aborigeni si sarebbero estesi sino al fiume Liris assumendo il nome di Latini, dal re che li avrebbe domati al tempo della guerra troiana. Altre località che poi divennero pelasgiche, come Antemnae, Fescennium, Falerii, Pisae, Saturnia ecc. sarebbero state in origine occupate dai Siculi mentre un quartiere di Tivoli, che ancor oggi conserva il nome di Siciliano, avrebbe avuto al tempo di Dionigi ancora dei Siculi.
Varrone nel "De lingua latina" considerava i Siculi originari di Roma perché numerose erano le somiglianze tra la lingua loro e quella latina. Servio considerava addirittura i Siculi giunti dalla Sicilia a Roma, e cioè proprio al contrario di tutte le altre testimonianze. Invece Festo fa i Siculi respinti dai Sacrani o Sabini insieme con i Liguri. Infine Solino li considera tra le più antiche popolazioni dell'Italia con gli Aborigeni gli Aurunci i Pelasgi e gli Arcadi.
Anche i Sicani sono ricordati nel Lazio (l'antico Latium vetus), in Solinosia in Plinio il Vecchio dove i Sicani sono considerati popoli della lega del Monte Albano. Questi stessi Sicani sono ricordati nell'Eneide di Virgilio come alleati dei Rutuli, degli Aurunci, dei Sacrani; Aulo Gellio e Macrobio li ricordano con gli Aurunci ed i Pelasgi. Evidentemente si tratta non di Sicani ma di Siculi che nella tradizione poetica latina sono stati confusi tra loro.
L'altra tradizione di Filisto di Siracusa sarebbe quella che fa dei Siculi una popolazione ligure, ed i liguri sarebbero stati coloro che, secondo Tucidide e Dionigi di Alicarnasso, avrebbero spinto le popolazioni sicane dall'Iberia, costringendole ad occupare la Sicilia. Questa tradizione dell'origine ligure dei Siculi si ritrova in Stefano di Bisanzio in cui si cita un passo di Ellanico, e anche in Silio Italico i Siculi sono considerati Liguri. In seguito a queste affermazioni si è rilevata dagli storici moderni la presenza di nomi di città come Erice, Segesta ed Entella in Liguria.
« Anche il nome di Alba s'incontra spesso in Liguria. Un luogo di questo nome trovasi a occidente del Rodano nel territorio degli Elvii. A settentrione di Massalia (Marsiglia) conosciamo una popolazione montana ligure degli "Aλβιείς", Albienses o Albiei, e nel suo territorio Alba Augusta. Seguono in direzione orientale sulle coste italiane Albium Intemelium, Albium Ingaunum, Alba Decitia. Non lontana dal versante settentrionale degli Appennini trovasi sul Tanaro Alba Pompeia. Da ciò viene il quesito, se non sia la stessa voce ligure contenuta nel nome di Alba Longa. Al tentativo di spiegare questo nome con l'aggettivo latino "albus" contraddice non solo che da qualche attributo non siasi giammai formato un nome di luogo, ma anche la considerazione che l'aspetto di Alba Longa debba destare una impressione opposta all'aggettivo latino. Questo luogo è collocato sopra materiali vulcanici dei monti Albani, e il colore fondamentale della regione è grigioscuro. » (W. Helbig, Die Italiker in Der Poebene, 1879)
G. Sergi facendo riferimento alle affermazioni di Helbig sulla strana natura del nome "Alba Longa", conviene che «il colore dei monti Albani è scuro, bluastro quasi, e va al nero in alcune ore del giorno». Quindi Alba Longa non poteva apparire molto "alba". Ma oltre Alba Longa si hanno nomi derivati da Alba come i monti Albani, il lago Albano, e il più importante di tutti il nome di Albula, già nome del Tevere. Sergi si chiede quindi se Alba Longa sia stato un abitato Ligure. Nel Lazio non c'è mai stata una tradizione che ricordi i Liguri, ma invece i Siculi, come leggiamo in Dionigi di Alicarnasso: « La città che dominò in terra e per tutto il mare, e che ora abitano i Romani, secondo quanto viene ricordato, dicesi tenessero gli antichissimi barbari Siculi, stirpe indigena; questi occuparono molte altre regioni d'Italia, e lasciarono sino ai nostri giorni documenti non pochi nè oscuri, e fra questi alcuni nomi detti Siculi, indicanti le loro antiche abitazioni » (Dionigi di Alicarnasso I, 9; II, 1 (Trad. Sergi))
Ed esaminando i caratteri fisici dei Liguri e dei Siculi, Sergi avrebbe stabilito la loro identità: anche da ricordi archeologici risulta esservi stato un simile comune costume funerario; e lo scheletro neolitico di Sgurgola presso Anagni era colorato in rosso come gli scheletri neolitici delle Arene Candide, (e dei Balzi Rossi, n.d.r.), grotte liguri. Liguri e Siculi sarebbero stati quindi due rami dello stesso ceppo umano, solo che, avendo differenti abitati, sarebbero stati erroneamente considerati come due razze diverse. La teoria è quindi che quando si parla di questi antichissimi barbari Siculi, primi abitatori della città che poi fu Roma, si tratti di una popolazione ligure-sicula condotta da Siculo.
Troviamo effettivamente riscontro in Filisto di Siracusa che, riportato da Dionigi di Alicarnasso, sostiene che la gente, la quale passò dall'Italia in Sicilia, non era di Siculi, ma di Liguri condotti da Siculo. Servio scrive che la città da lui denominata "Laurolavinia", composizione delle due, Laurentum e Lavinium, che si fusero, sorse dove già abitasse Siculos. Antioco di Siracusa ci dice che: « La regione, che ora chiamasi Italia, anticamente tennero gli Enotri; un certo tempo il loro re era Italo, e allora mutarono il loro nome in Itali; succedendo ad Italo Morgete, furono detti Morgeti; dopo venne un Siculo, che divise le genti, che furono quindi Siculi e Morgeti; e Itali furono quelli che erano Enotri » (in Dionigi di Alicarnasso, 1,12)
Nel Lazio e in altre regioni d'Italia questa identità di razza dei Siculi con i Liguri è rivelata da un altro fatto, cioè dai nomi dei luoghi, montifiumi, laghi, oltre che dalle forme nominali etniche dei rami differenti della stirpe. Le teorie che abbiamo visto sulle origini centro italiche prima, e liguri poi, si incontrano e si sposano perfettamente in questa terza teoria: Dionigi che aveva scritto che i Siculi fossero i più antichi abitatori della città che fu Roma, e del territorio latino, narra che i primi aggressori per occupare il loro abitato con lunga guerra furono i cosiddetti Aborigini che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lebio in Dionigi, infine, stanchi delle aggressioni o non potendo resistere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero migrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia, che da loro avrebbe preso il nome. Non tutti i Liguri-Siculi avrebbero seguito Siculo in Sicilia e sarebbe per questo motivo che si riscontrano tracce liguri-sicule in tante regioni italiane
La fondazione di Alba, secondo la tradizione che vuol essere storia, così è descritta da Dionigi di Alicarnasso: « Nel trentesimo anno dopo fondata Lavinio, Ascanio, figlio di Enea, fondò un'altra città; e dai Laurentini e da altri Latini e da quanti altri desideravano una sede migliore, trasportò gente nella città recentemente costrutta, cui aveva posto nome "Alba", la quale in lingua greca vuol dire λευκή ("bianca" in italiano), ma per distinguerla da altra città che aveva lo stesso nome, vi aggiunse una parola, che con la prima forma un insieme, "Alba Longa", cioè, Λευκή μακρά » (Dionigi di Alicarnasso, I, 66)
Quale fosse quest'altra "Alba", e dove, Dionigi non lo dice, né adduce il motivo per il quale la nuova sia detta "Longa" (μακρά). Livio, invece, scrive: « is Ascanius, ubicumque et quacumque matre genitus - certe natum Aenea constat - abundante Lavini multitudine florentem iam, ut tum res erant, atque opulentam urbem matri seu novercae relinquit, novam ipse aliam sub Albano monte condidit, quae ab situ porrectae in dorso urbis Longa Alba appellata est » (livio, I, 3)
Qui c'è da osservare che la città si fondava sub monte Albano, vuol dire che già questo monte aveva un nome, che, potrebbe secondo Sergi essere ligure-siculo in quanto non potrebbe significare bianco, come sarebbe in lingua latina, per via della palese colorazione scura-bluastra tendente al nero dei monti Albani. Dionigi che aveva preso la tradizione dagli autori della tradizione romana, traduce infatti Alba per Λευκή, Bianca. Sergi dopo aver esaminato il nome "Alba Longa" passa ad osservare i suoi derivati e si sofferma su "Albula", antico e primitivo nome del Tevere, come Livio, Plinio, Virgilio (Albula nomen) scrissero. Si conclude che il nome non può aver a che fare con la colorazione in quanto Virgilio stesso chiama flavus il Tevere perché trasporta sabbia, poi ancora lo chiama "caeruleus", "ceruleo", e anche Orazio lo chiama flavum.
Esiste un altro fiume Albula nel Piceno, ricordato da Plinio nell'enumerare abitati e fiumi della quinta regione italica, il Piceno; e nomina anche fra altre città "Numana", a Siculis condita. Ciò significa che la regione era occupata dai Siculi, i quali diedero i nomi dei fiumi e degli abitati secondo il loro linguaggio.
Poi ancora abbiamo Albinia, nell'Argentario, territorio che fu etrusco, ancora una città Alba vicina al Fucino, e Alba in Piemonte, un monte Alburnus in Lucania, un fiume Alba in Sicilia, ricordato da Diodoro Siculo; e in Liguria Alba Pompeia, Alba Decitia, e Albium o Album o Alba Intemelium e Ingaunum, (Albenga da Albium Ingauna e Ventimiglia da Albium Intemelia); Albiei e Alba nella Provenza; Alba nella Betica in Spagna e Alba fiume a nord-est della Spagna.
Ancor più sorprendente il ricordo di Strabone, che le Alpi prima avevano il nome di Albia, e Albius mons era detta la sommita delle Alpi ora Giulie.
G. Sergi esamina attentamente i rapporti linguistici che potrebbero esserci fra i tratti linguistici siculi e quelli liguri, ma non solo. Inizia il suo studio ponendo lo sguardo su alcuni suffissi che egli ritiene caratterizzanti dei linguaggi liguri e siculi.
Un suffisso caratteristico ligure accettato è quello delle parole terminanti in -sco, -asco, -esco, in nomi propri, dovuto alla scoperta di un'antica iscrizione latina dell'anno 117 a.C., dove trattasi di un giudizio in una controversia territoriale fra Genuenses e Langenses, liguri. Qui s'incontrano i nomi di Novasca, Tulelasca, Veraglasca, Vineglasca. Inoltre nella tabula alimentaris riferibile alla disposizione di Traiano imperatore, per soccorrere di viveri fanciulli e fanciulle, si trovano altri nomi liguri con la stessa terminazione.
Il Zanardello Tito, in alcune sue memorie, tentò di mostrare l'espansione dei nomi con tale suffisso ligure e anche di altri similmente liguri non soltanto in Italia, ma ancora nell'antica Gallia compreso il Belgio; e calcola seguendo il Flechia, che il numero dei nomi italiani col suffisso -sco in alta Italia supera 250; e simili forme si sono trovate nella valle della Magra, nella Garfagnana e altrove.
Abbiamo nomi etnici Volsci, Osci o Opsci, poi Graviscae, città tenuta dagli Etruschi, Falisci, un popolo o una tribù Japuzkum o Iapuscum delle Tavole icuvine; e poi Vescellium in Arpinia, Pollusca nel Lazio, Trebula Mutuesca nell'Umbria, Fiscellus, monte ai confini dell'Umbria, ed altri altrove. Poi ancora abbiamo il nome di Etrusci e Tusci, che adoperarono i Romani e dopo gl'Italiani e altri.
Altri suffissi:
-la, -lla, -li, -lli, come in Atella, Abella, Sabelli, Trebula, Cursula;
-ia, -nia, -lia, come in Aricia, Medullia, Faleria, Narnia;
-ba, come in Alba, Norba;
-sa, -ssa, come in Alsa, Suasa, Suessa, Issa;
-ca, come in Benacus (Benaca), Numicus (Numica);
-na, come in Artena, Arna, Dertona, Suana;
-ma, come in Auxuma, Ruma, Axima, e forse anche Roma;
-ta, -sta, come in Asta, Segesta, Lista;
-i, come Corioli, Volci o Volsei.
- A proposito della radice Alb, è interessante ciò che è tratto da: http://www.unior.it/userfiles/workarea_477/LZ6%20Perono_pp102_128.pdf
che motiverebbe la successiva fusione dei Liguri con le popolazioni Celtiche.
La famiglia toponimica paleoligure di Alba, connessa a idronimi paleoeuropei in Alb- e, apofonicamente, al tipo Olb- (anche Orb- in area ligure), non rappresenta una formazione diretta sull’aggettivo indoeuropeo albho- ‘bianco’, ma, insieme a questo, continua un radicale pre-protoindoeuropeo Hal-bh- ‘acqua’ attestato anche dal sumerico halbia, (accadico halpium, ‘sorgente, massa d’acqua, cavità d’acqua’) ed è ulteriormente analizzabile come ampliamento
della radice protoindoeuropea Hal- ‘nutrire’. Simile diffusione ha la base indoeuropea HwaH-r- ‘acqua’
Alcuni toponimi e idronimi di area ligure (l’area linguistica e culturale di formazione di nomi quali Olbicella, appunto) e delineando l’esistenza di una “famiglia” di denominazioni di luoghi che ci piace definire(sulla base del radicale non solo indoeuropeo che è all’origine della loro formazione) “città d’acqua”.
Esistono prove di elementi comuni, sia pure remoti (già dalla fase indoeuropea), in ambito culturale e linguistico, tra gli antichi Liguri e gli abitanti (ad essi contemporanei) dell’Europa occidentale storicamente noti, almeno in parte, come Celti.
Una macroscopica similitudine toponimica riguarda la Britannia (forse solo quella meridionale, in origine). Si ritiene (e l’ipotesi è assai convincente)che Albiōn ,il nome di origine ancestrale della Britannia, sia connesso con le forme toponimiche liguri Albium e Album. La radice della denominazione è comune ed è,appunto, alb indoeuropeo albh.
Da Albium ed Album derivano nella toponomastica ligure antica e “contemporanea” tra gli altri, l’omologo (omofono ed omografo rispetto alla seconda forma) Album, Album, Inganum, Album, Ingaunum, Albingaunum, ‘Albenga’, Albium Intemelia ‘Ventimiglia’, Albuca (nelle Gallie ed in Aquitania), Alba in provincia di Cuneo, Alba Heluorum in Provenza, Alba, attuale Arjona, in Spagna. Giacomo Devoto segnala inoltre,come di possibile ascendenza (o influenza nella formazione onomastica ligure, il toponimo di Albona, città istriana che sorge a pochi chilometri di distanza dal mare. Tutte queste denominazioni sono riconducibili direttamente alla radice alb e a una forma simplex che è Album. Ma Album non è connesso primariamente (si appurerà in seguito come si tratti di uno spostamento di significato rispetto all’originale) al latino albus, ‘bianco’. Deriva, invece, dalla radice albh che è la base, ad esempio, dell’idronimo germanico Albis, il nome del fiume Elba.
Tutti questi nomi indicano stanziamenti su canali, su fiumi o su mari, in pratica luoghi situati in prossimità dell’acqua (e anche idronimi, denominazioni, appunto, di referenti che coincidono con l’iconimo: corsi d’acqua). Quel che a noi interessa in questa sede è che come la radice albh viene a essere la base dell’idronimo Albis, nome di origine ancestrale (in quanto idronimo paleoeuropeo) del fiume Elba, così essa è la componente generativa di alcune delle numerosissime denominazioni (antiche e “contemporanee”) Olbia che denotano, come tutti i nomi formati dalla radice albh, luoghi situati su canali, fiumi o mari.
Olbia, la più antica colonia di Mileto, sul Mar Nero, ad esempio, ebbe come nome epicorico Olbia (senza varianti), derivato dalla radice albh con apofonia vocalica della [a] iniziale nel grado atimbro [o] (il radicale olbh è equivalente sul piano lessicale e derivato a livello morfofonologico dalla base albh).
Olbia si ritrova, come toponimo, in Britannia, sulla destra del fiume Bug (in Ucraina), in Provenza, in Sardegna e altrove , a latitudini molto differenti, dunque – in Licia e nell’Ellesponto; naturalmente, soprattutto nel caso delle colonie elleniche, è stata inevitabile una sovrapposizione motivazionale col beneaugurante aggettivo greco ólbios, (femminile olbía).
Se si resta nell’ambito di denominazioni legate alla radice albh e al significato di‘acqua’, può essere interessante ricordare che Albula, fu l’antico nome del fiume Tevere
Albiōn, il nome di origine ancestrale della Britannia, viene a denotare, dunque, la grande isola sul Canale della Manica, un locus, quindi, sull’acqua e circondato dall’acqua.
La ricostruzione albh (con bh richiesta dal germanico b/inAlbiz, ‘Elba’) non è tuttavia l’unica presa in considerazione nella glossografia.
Giovanni Semerano, tra gli altri sostenitori dell’origine della radice alb da una famiglia linguistica non indoeuropea (nella teoria dell’Autore questo è postulato per definizione, dato che viene rifiutata
l’esistenza stessa dell’indoeuropeo), propone una derivazione dall'antichissima voce accadica alpium a sua volta dal sumerico albia, ‘sorgente’,‘massa d'acqua’,‘cavità d'acqua’. Questa forma si sarebbe poi trasferita nel sistema toponimico delle lingue “indoeuropee”, da un lato mantenendosi immutata nella radice alb.

ETNIE LIGURI e CELTOLIGURI, o CELTO-LIGI
Col passare dei secoli le popolazioni Liguri si mischiano ai nuovi venuti, i Celti, popolazioni provenienti dal Nord che però non riusciranno mai a integrarsi completamente con gli orgogliosi Liguri.
E' curioso che, così come le popolazioni Liguri siano state protagoniste nell'età del Bronzo, le popolazioni Celtiche lo sono state nell'età del Ferro; se accettiamo inoltre l'ipotesi di una civiltà proto-Ligure costruttrice di monumenti megalitici in Europa, è sorprendente il fatto che proprio nei siti in cui si sono conservati questi monumenti, maggiore è stata la sopravvivenza della cultura celtica. Per il post "Celti: storia e cultura" clicca QUI.
Conosciamo i nomi di alcune delle tribù (o pagu) in cui i Liguri si raggruppavano:
Gli Ambroni, che sono nominati come una delle tribù primigenie nella battaglia di Aquae Sextiae (102 a.C.) e citati nella Vita di Gaio Mario.
Carta geografica delle Popolazioni  Liguri, Etruschi,
 Celto-Ligi (Celtoliguri) e Celti nel Centro-Nord italico,
con città, fiumi e laghi, intorno al 300 a.C.
 Clicca l'immagine per ingrandirla.
Gli Apuani, che si stabilirono nelle montagne della Lunigiana (attuali province di Massa Carrara e La Spezia), della Garfagnana e della Versilia (provincia di Lucca)
Tigulli, insediati nella Riviera di levante fino a Framura
Friniati, insediati all'interno, nell'Appennino, tra le attuali province di Parma (valli del Parma e dell'Enza), Reggio Emilia, Modena (una vasta zona dell'Appennino modenese, fra la Secchia e il Panaro è ancora oggi denominata Frignano proprio dal nome della tribù Ligure dei Friniati) e Pistoia
Veleiati, anche detti Eleati o Celeiati, insediati all'interno, sul territorio che attualmente comprende le provincie di Piacenza e Parma (centro principale in età romana: il Municipio di Velleia)
Genuati, insediati nella zona di Genova
Gli Ilvati, abitanti originariamente nell'isola d'Elba ma poi ritiratisi nell'Appennino
Veituri, (suddivisi nelle sottotribù degli Utrines, Sestrines, Mentovines e dei Langenses), insediati nell'attuale ponente genovese ed in Val Polcevera, dove nel 1506 fu rinvenuta la nota Tavola Bronzea di Polcevera, redatta a Roma nel 117 a.C.
Gli Statielli, insediati nell'odierna provincia di Alessandria nel territorio di Acqui, nelle valli delle due Bormide e degli affluenti Orba e Belbo
Dectunini, insediati nel tortonese e nel novese
Sabazi, insediati nel Savonese
Gli Ingauni, insediati nel territorio di Albenga
Bagienni (o Vegenni) e gli Epanteri, insediati nell'alta valle del Tanaro e poi trasferitisi in val Trebbia a Bobbio (sede del pagus omonimo) sotto il municipio di Velleia (centro principale in età romana: Augusta Bagiennorum - ora Bene Vagienna)
Gli Intemeli, insediati nella Riviera di Ponente, nei pressi di Ventimiglia (Albium Intemelium)
Levi e i Marici, insediati nella zona attorno al Po (province di Pavia e Alessandria)
Segobrigi o Commoni, abitanti della Provenza e protagonisti della leggenda greca di Massalia.

Carta della Liguria con le etnie liguri nell'età romana.

Secondo il seguente resoconto, non troviamo più quel passaggio che fonde i Liguri con i Celti, ed assimila i Liguri propriamente detti a popolazioni Celtoliguri che vengono generalmente definite Celti.
Attraverso le documentazioni scritte, e quindi certe, è molto difficile risalire con esattezza a periodi storici riportati o trattati che riguardino la penisola italiana e in particolare la LIGURIA che siano precedenti al 3000 /2000 a.C. (periodo  ENEOLITICO e poi età dei METALLI ), epoca che in Mitologia è chiamata anche dei cosiddetti DILUVI . Secondo diversi Autori di Storia Mitologica la penisola italica ricominciò a popolarsi dopo il Diluvio Noelico intorno al 2000 a.C. da popolazioni Razene giunte via mare e comandate dal mitico GIANO, che dicono abbia dimorato presso Roma su un colle (GIANICOLO) e/o presso Genova sul colle ARX JANO (Sarzano), probabilmente convivendo con le popolazioni Aborigene sopravissute al disastro.
La popolazione dei LIGURI (o LIBUI), secondo molti storici, è da considerarsi la più antica popolazione italica conosciuta, precedente anche agli stanziamenti dovuti a migrazioni indoeuropee o a colonizzazioni successive di popoli mediterranei.
Cartina delle 11 Regioni istituite Ottaviano Augusto
in Italia nel 6 d.C.: I Latium et Campania, II Apulia
et Calabria, III Lucania et Brutii, IV Samnium,
 V Picenum, VI Umbria, VII Etruria, VIII Aemilia,
IX Liguria, X Venetia et Histria, XI Transpadana.
Clicca l'immagine per ingrandirla.
Alcuni importanti studiosi pensano che originariamente i LIGURI  fossero presenti già da epoche molto antiche nei territori che confinano con la penisola Iberica ad ovest (certi i contatti con i BASCHI nell'attuale zona dei Pirenei, e naturalmente anche con gli IBERI ), a nord con la Gallia dei CELTI, a nord-est con i RETI,  a sud-est con UMBRI e TIRRENI.  Stanziati perciò sulle attuali:  valle del Rodano, Costa Azzurra, Provenza, Liguria, Piemonte, Lombardia,  alta Toscana, Emilia, basso Veneto, giungendo sino alla Corsica, isola d'Elba e nord Sardegna comprese.
Dopo una prima contrazione delle popolazioni stanziali Liguri attribuita alla spinta migratoria di popolazioni provenienti dall'ARMENIA, CAUCASO-MAR NERO (età Mesolitica  5.000 - 4.000 a.C.) attraverso il NORD-AFRICA e la penisola IBERICA, i LIGURI si ridussero nella zona compresa tra il delta del fiume Rodano, il Piemonte, la Liguria, il nord della Toscana e dell' Emilia, fino a tutta la pianura Padana.
Per la genesi del nome"LIGURI" molti studiosi lo assimilano ad una parola coniata dai Greci che potrebbe avere tre interpretazioni: "Abitanti di un terreno paludoso" o " LIGA", "Popolo che parla ad alta voce", "Quelli dalla voce stridente" (o accenna ancora alla melodiosità di Cycnus?); interpretazioni libere, ma che dimostrano l'antichissima presenza sul territorio di questa popolazione.
In questo periodo (età del Bronzo Recente ed età del Ferro 1600-500 a.C.), probabilmente a seguito dei contatti con le altre popolazioni confinanti (ETRUSCHI, CELTI, VENETI, RETI, EUGANEI e LEPONZI) inizia l'uso, anche da parte dei LIGURI, della cremazione come metodo di sepoltura (campi d'urne) prima in parziale e poi in completa sostituzione della sepoltura in fosse (nella nuda terra o foderate di ciottoli o con bare di legno), in grotte o anfratti nascosti vicino o lontano dai luoghi di dimora abituali.
 Sotto una seconda spinta migratoria di popolazioni Gallico-Celtiche dal NORD-EUROPA (età del Ferro 1.000 - 500 a.C.) i popoli Liguri si stanzieranno definitivamente a ridosso delle Alpi Marittime e dell'Appennino Ligure, concentrandosi nell'attuale LIGURIA, popolando stabilmente sia la parte appenninica che la costa e proteggendo il loro territorio con la costruzione strategica dei  CASTELLARI  sulle alture dominanti le valli abitate .
Nei riferimenti mitologici o leggendari i LIGURI sono citati in più opere da vari autori antichi: ESIODO, ECATEO da Mileto, ESCHILO (nel "Prometeo"), EURIPIDE (nelle "Troadi"), ERODOTO, TUCIDIDE, POLIBIO, DIODORO di CARIA, MARCO PORCIO CATONE, POSIDONIO, DIODORO SICULO, SALLUSTIO CRISPO, DIONIGI D'Alicarnasso, STRABONE, TITO LIVIO, TACITO PUBLIO CORNELIO, PLUTARCO, TOLOMEO,  CICERONE,  SILIO Italico.
Secondo gli studiosi: V. POGGI ("I Liguri nella preistoria"Savona, Tip. Bertolotto e C. - 1901) e E. ALDEROTTI ("I Liguri dimenticati" Ed.De Ferrari - Genova 2007) le popolazioni LIGURI stanziate nei territori a nord del Mediterraneo (spesso in lotta tra di loro o a volte alleate con altri popoli contro nemici comuni) erano suddivise in molte tribù, che spesso si autoproteggevano organizzandosi in confederazioni, sia per vantaggi economico-commerciali che strategico-militari.
I gruppi più importanti erano:
- In Spagna gli ELESYCES.
- All'interno della Francia i SEGOBRIGI .
- Nel sud della Francia gli: SALLUVI e gli OXYBI.
- Dal Varo alla Turbia, i VEDIANZI, la cui capitale era Cemenello (oggi 
  Cimiez); essendo Nizza e Monaco colonie dei Massalioti.
- Sulle Alpi Italo-Francesi: i DECLATES, i NERUSI, i NEMETURI,
   i SUETRI.
- In Nord Italia, nel Piemonte e Lombardia fino a Lugano: LEPONTI, 
   INSUBRI, SALASSI, AGONES, LIBUI, TAURINI, CAPILLATI, 
   LIBICI, VENTAMOCORI, LAEVI, MARICI.
- Tra Emilia e Lombardia: LANGENSES, CELEIATES.
- Dalla Turbia al torrente Impero gli INTEMELI, capitale Ventimiglia.
- Dall'Impero a Finale, ossia al torrente Pora, gli INGAUNI, capitale Albenga.
- A tramontana di questi gli EPANTERJ (alta val Tanaro e val Bormida).
- Dal Pora al torrente Lerone, tra Cogoleto e Arenzano i SABAZI, capitale Vadi Sabazi, oggi Vado. 
- A nord gli STATIELLI con capitale Carystum, e i BAGIENNI nell'attuale Piemonte.
- Dal torrente Lerone a Portofino, i GENUATI, capitale Genova.
- A monte di essi, nella alta val Polcevera i VETURII, il cui dominio proseguiva fino a Voltri.
- Da Portofino a capo Mesco, i TIGULI , con gli oppidi Tigulia e Segesta. A nord i VELEIATI .
- Dal confine dei Tiguli a quello di Luni, gli APUANI, capitale Pontremoli. 
- A nord, fino alla Garfagnana i FRINIATI e i CASUENTILLANI.
- Al confine con la Toscana, vicino all'isola d'Elba (l'isola si chiamava Ilva): ILVATES.

 Coppia di
Celtoliguri
SOCIETA' CELTO-LIGURE
I Liguri, descritti fisicamente di taglia robusta, asciutti, muscolosi, audaci ed indomiti oltre che mercanti e navigatori erano anche ricercati, come soldati di ventura, dai Cartaginesi nelle loro campagne militari.
Adoratori di divinità animiste e guidati da sciamani (o druvid), principalmente erano devoti al dio Belanu, dio della luce (da Bel, luce), per il quale si eseguivano sacrifici e riti collegati ai solstizi e perciò ai cicli solari dell'anno. Un altro nume di rilievo era Cicnu (il cigno), che rappresenta la divinizzazione di un mitico re antico. La sepoltura, come ritrovato in una tomba a Chiavari (Genova), era approntata in un carro da battaglia nel quale venivano riposte le armi ed il corpo del defunto, che poi venivano interrati in un sepolcro-tumulo. Esemplificativi ne sono i reperti di carro funebre conservati nella collezione privata Bocconi.
Vasi intemeli
La natura ed i boschi erano considerati i luoghi magici per eccellenza, e per questo sacri e rispettati; così le cerimonie ed i riti sciamanici venivano ufficiati nei boschi in siti occultati dalla vegetazione preparati ad hoc con menhir particolari. Queste particolari pietre oblunghe conficcate nel terreno dei boschi terminavano con teste umane, e probabilmente rappresentavano la nascita dal grembo materno e simboleggiavano la provenienza della loro razza scaturita direttamente dal grembo della terra e dalla natura. Le teste, così tanto rappresentate, per i Liguri erano la sede dell'anima il centro delle emozioni ed il punto del corpo dove erano concentrati tutti i sensi, di conseguenza l'essenza del divino e da qui il suo culto.
Erano dediti all'agricoltura, alla metallurgia, al commercio, alla caccia, alla predoneria e ad altre attività produttive. I Liguri abitavano in borghi formati da capanne sparse, preferibilmente a "mezza costa" di pendii montagnosi per sfruttare la posizione elevata ma potendosi meglio organizzare a procacciare cibo che non sulle vette appenniniche o alpine. Diodoro Siculo scrive dei Liguri:
«Essendo il loro paese montuoso e pieno di alberi, gli uni di essi tutto quanto il giorno impiegano in tagliar legname, a ciò adoperando forti e pesanti scuri; altri, che vogliono coltivare la terra, debbono occuparsi in rompere sassi, poiché tanto è arido il suolo che cogli strumenti non si può levare una zolla, che con essa non si levino sassi. Però, quantunque abbiano a lottare con tante sciagure, a forza di ostinato lavoro superano la natura [...] si danno spesso alla cacciagione, e trovando quantità di selvaggiume, con esso si risarciscono della mancanza di biade; e quindi viene, che scorrendo per le loro montagne coperte di neve, ed assuefacendosi a praticare poi più difficili luoghi delle boscaglie, indurano i loro corpi, e ne fortificano i muscoli mirabilmente. Alcuni di loro per la carestia de' viveri bevono acqua, e vivono di carni di animali domestici e selvatici.»
Vaso apuano
(Diodoro Siculo, in Luca Ponte, Le genovesi) e la loro attitudine alla navigazione viene così descritta: «Navigano eziandio per cagione di negozi pel mare di Sardegna e di Libia, spontaneamente esponendosi a pericoli estremi; si servono a ciò di schifi più piccoli delle barchette volgari; né sono pratici del comodo di altre navi; e ciò che fa meraviglia, si è che non temono di sostenere i rischi gravissimi delle tempeste.»
Divisi in tre caste principali (la milizia, gli sciamani e la popolazione produttiva) erano raggruppati in tribù urbanizzate (pagu) collegate tra loro da legami di parentele e condotte ciascuna da un re (rix). I Liguri possedevano uno spiccato spirito egualitario e, a parte il condottiero, la restante popolazione non si poneva in contrasto con differenze e privilegi. Il senso dell'ospitalità era sacro, da come raccontano nell'epopea di Massalia i Greci.
Nella particolareggiata leggenda di Massalia (Marsiglia), si racconta come i primi coloni di Focea, Simos e Protis, incontrando il sovrano ligure Nannu, sarebbero stati invitati in una lingua incomprensibile a partecipare ad un banchetto al quale, a loro insaputa, la figlia di Nannu, Gyptis, avrebbe scelto il suo sposo tra gli astanti. Gyptis espresse la sua preferenza per il greco Protis, generando la comunione tra i popoli. La terra su cui avrebbero edificato la loro città infatti, sarebbe stata proprio Massalia.
La scelta dello sposo da parte delle donne, nel corso di una cerimonia e di un apposito banchetto, rivela informazioni preziose sull'emancipazione femminile. A tal proposito, sempre Diodoro Siculo nel I secolo a.C. scrive che le donne prendono parte ai lavori di fatica accanto agli uomini. Narrazioni di Tacito, presenti nelle Historiae, ma anche di Strabone, raccontano di coraggiose donne dedite al lavoro.
I Liguri si presentavano in battaglia seminudi o nudi per mostrarsi il più possibile vicino allo stato animale selvaggio e per incutere timore ai Romani con i loro corpi robusti; si mostravano dipinti su tutto il corpo, portavano lunghe chiome impastate e rese rigide con argilla e/o gesso e acconciate a guisa di criniera di cavallo; spesso tutto ciò che indossavano era un paio di calzari di cuoio ed un cinturone per fermare un mantello. Erano armati principalmente con lunghe lance, dette bug, uno scudo bislungo, una spada spesso scadente perché fatta con metalli dolci e molto raramente con arco e frecce che venivano considerate disonorevoli perché poco adatte allo scontro fisico faccia a faccia. Attaccavano con fanti e su carri corazzati ma alcune tribù avevano carpito l'uso delle armi romane adattandosi a queste con nuove tecniche belliche.
Un dettaglio che testimonia di contatti antichissimi fra i Celti (che i Romani chiamavano Galli) e i Liguri ha incuriosito di recente gli archeologi: la scure di rame trovata addosso a Oetzi, la mummia del cacciatore preistorico scoperta anni fa in ottimo stato di conservazione nel sarcofago di ghiaccio del Similaun, nelle Alpi italo–austriache, è simile alle asce che compaiono come armamento nelle statue–stele della Lunigiana. Oetzi era dunque un apuano? Chissà!
La prima ondata di popolazioni celte era arrivata in Italia nel VI secolo a.C. a seguito di movimenti migratori innescati nelle steppe asiatiche da stagioni particolarmente fredde e da prolungati periodi di carestia. Ciò aveva attivato una serie di spinte e controspinte verso occidente, diciamo dei "tamponamenti" fra popoli, che avevano obbligato le tribù stanziate nella Pannonia, l'odierna Ungheria, a spostarsi verso il valico di Tarvisio e scendere nelle pianure del nord della penisola, terre scarsamente abitate, fertili, calde e ricche di acqua. La prima invasione aveva motivazioni predatorie e facendosi strada attraverso i domini etruschi arrivò fino a Roma, messa più volte a sacco. La seconda (quarto secolo) ebbe invece uno scopo stanziale, l'insediamento in terre più ospitali. Ma per impossessarsi di quei territori i Celti dovettero scacciarne i Liguri, all'epoca frammentati in un'infinità di tribù insediate dall'Iberia a quasi tutta la valle Padana sino al moderno Veneto. Sospinti dalle orde celte (Boi, Insubri, Senoni, Cenomani, ecc.) i Liguri padani furono costretti a ritirarsi sull'Appennino e sulle Apuane: molti restarono lassù, sulle vette, vivendo di pastorizia, di abigeato e di agricoltura in quasi assoluta solitudine e povertà, mentre altri scesero a valle, sul mare, instaurando relazioni con progrediti popoli di navigatori, dandosi alla pirateria e ai commerci, salendo quindi alcuni gradini lungo la scala della civiltà.
Erano i Lunensi, i Tigullii, i Genuati, ecc.. Poi, attorno alla metà del terzo secolo a.C., sulla scena comparvero i romani, per cui Celti e Liguri si trovarono a combattere fianco a fianco contro un nemico comune, il che favorì una certa integrazione fra quelle genti. 
Carta geografica dei domini
di  Roma nel 58 a.C..
Una prova di questa integrazione fu scoperta all'inizio degli anni Sessanta del '900 sulle prime rampe della strada di Costa di Murlo, alle pendici del monte Parodi, l'altura più alta fra quelle che circondano il golfo della Spezia: una tomba litica, che fu battezzata "Tomba del guerriero", contenente fra gli altri oggetti un elmo celta e una spada ligure, segni evidenti di un'ormai avviata ibridazione dei due popoli. Questi reperti sono esposti al museo archeologico del castello San Giorgio.
I Liguri sulle montagne e i Celti nelle pianure resero molto dura la vita ai Romani, ma il futuro era ormai scritto. Prima i Sanniti (nel Sannio), poi i Senoni (nelle Marche), quindi i Boi (in Emilia) e i Cenomani (fra l'Adda e l'Oglio), e infine gli Insubri (a Milano) furono sconfitti e sottomessi con perdite spaventose, decine di migliaia di caduti. Nello stesso tempo, dovettero cedere uno dopo l'altro le armi gli Apuani (in Garfagnana e alto Magra), i Friniati (nell'Appennino parmense, reggiano e Modenese, ora chiamato da loro Frignano), i Veleiati (nell'Appennino piacentino) e Ingauni e Intemeli (nel Ponente ligure). A quel punto tutta la penisola si trovò sotto il domino romano.

Breve storia della Liguria DALL'ANTICHITA' AL 1945
La Liguria vide la presenza delle persone in tempi remotissimi. Nel loanese sono state scoperte tracce della presenza dell'uomo neandertaliano, mentre a Ventimiglia nella grotta dei Balzi Rossi sono stati trovati numerosi resti che richiamano quelli dell'uomo di Cro-Magnon. Notizie scritte sugli insediamenti dei Liguri - popolazione di origine mediterranea - fanno risalire la loro presenza al primo millennio a.C. su di un vasto territorio che comprendeva gran parte dell'Italia nord occidentale. Queste popolazioni, suddivise in diverse tribù, non raggiungevano il numero di duecentomila unità.
Dopo la prima guerra punica, che vide gli antichi Liguri dividersi tra alleati di Cartagine (i più) e alleati di Roma, e soprattutto dopo la conquista romana della regione, venne creata, ai tempi di Augusto, la X regio, denominata Liguria, che si estendeva dalla costa fino alle rive del Po. Le grandi strade romane (Aurelia e Julia Augusta sulla costa, Postumia ed Aemilia Scauri verso l'interno) contribuirono a rafforzare l'unità territoriale e a incrementare gli scambi e il commercio. Sulla costa si svilupparono grandi centri, dei quali rimangono testimonianze negli scavi di Albenga, Ventimiglia e Luni.
Tra il IV e il X secolo la Liguria fu dominata dai Bizantini, dai Longobardi di Rotari (641 ca) e dai Franchi (774 ca) e subì le invasioni saracene e normanne. Nel X secolo, diminuito il pericolo della pirateria, il territorio ligure fu diviso in tre marche: Obertenga (est), Arduinica (ovest) e Aleramica (centro). Nei secoli XI e XII le marche furono frazionate in feudi, ma con il rafforzamento del potere vescovile la struttura feudale delle marche si indebolì.
Carta delle scorrerie ed invasioni dei saraceni, i mori, in:
Provenza, Borgogna, Liguria, Piemonte e territori limitrofi
fra l'889 e il 970 d. C., nei secoli IX e X.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Nelle maggiori città liguri, soprattutto sulla costa, si costituirono i primi comuni, sui quali Genova ebbe ben presto il predominio; mentre l'entroterra rimase per lunghissimo tempo suddiviso in feudi di proprietà delle famiglie patrizie.
Fra l'XI (fondamentale é la partecipazione delle navi genovesi alla prima crociata) e il XV secolo Genova fu protagonista di una straordinaria ascesa politica e mercantile (soprattutto commerci di spezie con l'Oriente) e rimase la repubblica marinara più potente del Mediterraneo dal XII al XIV secolo, come viene ben testimoniato dalla vittoriosa resistenza contro l'imperatore Federico Barbarossa e dalla presenza genovese nei gangli del potere del tardo impero bizantino.
Con l'istituzione del dogato a vita (1339) e l'elezione di Simone Boccanegra, Genova riprese le lotte contro il marchese di Finale e i conti di Laigueglia, riconquistando i territori del finalese, di Oneglia e Porto Maurizio. A fronte dei successi militari e commerciali, Genova cadde preda delle fazioni interne. In questo stato di debolezza la signoria della repubblica venne offerta ai Visconti di Milano. Cacciati questi ultimi dalle forze popolari guidate dal Boccanegra, la repubblica rimase in mano ai Genovesi fino al 1396, quando l'instabilità interna spinse il doge Antoniotto Adorno a cedere il titolo di signore di Genova al Re di Francia. Cacciati anche i Francesi nel 1409, la Liguria tornò sotto controllo milanese nel 1421 e vi rimase fino al 1435. L'alternanza di signorie francesi e milanesi sul territorio ligure continuò fino al primo XVI secolo. L'influenza francese cessò nel 1528, quando Andrea Doria divenne l'autorevole alleato del potente Re di Spagna ed impose alla repubblica il regime aristocratico che garantì una certa stabilità al governo per circa 250 anni. 
Veliero dell'età moderna,
l'Amerigo Vespucci.
L'impoverimento delle linee commerciali con l'Oriente impose ai maggiorenti liguri di dedicarsi, da allora, alla speculazione finanziaria. Le crisi internazionali del XVII secolo, terminate, per Genova, con il bombardamento (1684) da parte della flotta del Re Sole, rimisero la repubblica sotto l'influenza francese. Questa influenza portò la Liguria a vedere il suo territorio attraversato dagli eserciti piemontesi ed austriaci, quando questi due stati entravano in urto con Versailles. Il culmine giunse con l'occupazione austriaca di Genova nel 1746. Le truppe asburgiche furono cacciate da un'insurrezione popolare nello stesso anno. La prima campagna d'Italia di Napoleone segna la fine della secolare repubblica che, per volontà del futuro imperatore, si trasforma in Repubblica Ligure ad imitazione istituzionale della repubblica francese. Ottenuta l'unione di Oneglia e Loano (1801), la Liguria fu annessa all'impero francese (1805) e suddivisa in tre dipartimenti da Napoleone: Montenotte, con capoluogo Savona, Genova, e il dipartimento degli Appennini con capoluogo Chiavari. Dopo una fugace indipendenza nel 1814, il Congresso di Vienna (nel 1815) decise che la Liguria venisse annessa al regno di Sardegna. La rivolta genovese anti-sabauda nel 1821, soffocata nel sangue, fecondò i sentimenti nazionali della popolazione. Liguri furono alcune delle più prestigiose figure del Risorgimento (Mazzini, Garibaldi, Mameli, Bixio). Nei primi anni del secolo la crescita economica della regione fu notevole: dall'imperiese allo spezzino fiorirono molte industrie. La tragica parentesi della seconda guerra mondiale vide la Liguria affamata ed occupata per due anni dalle forze tedesche, contro le quali venne esercitata una lotta di liberazione tra le più efficienti in Italia (va ricordato che Genova - unica tra le città europee - si presentò già liberata alle truppe alleate avanzanti).

Carta con i maggiori centri dell'età antica, dove è segnata Costa Balenae,
fra Villa Matuciana (Sanremo) e Portus Maurici (Imperia)
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 Coda di balena fotografata
nel Mar Ligure di ponente.
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